La nomina di Sébastien Lecornu a primo ministro, dopo la caduta del governo Bayrou, segna l’ennesimo scossone politico in Francia: Macron si affida a un giovane fedele della sua ala destra, ma il Paese resta attraversato da divisioni profonde e da una fragilità istituzionale che rischia di minare la stessa Quinta Repubblica.

La Francia si scopre nuovamente fragile. Nel giro di poche settimane, il governo guidato da François Bayrou è caduto sotto la scure della censura parlamentare e, il 9 settembre, Emmanuel Macron ha affidato a Sébastien Lecornu, 39 anni, il compito di guidare Matignon. È il terzo cambio di premier in meno di due anni, un segnale che racconta meglio di ogni analisi la difficoltà della Quinta Repubblica nel trovare stabilità politica in un tempo di polarizzazione e di piazze agitate.

La scelta di Lecornu, uomo della “gamba destra” del macronismo, già ministro delle armate e colonnello di riserva della gendarmeria, rappresenta un gesto di continuità più che di apertura. Macron punta ancora una volta su un giovane fedele, come aveva fatto con Gabriel Attal, ma evita ogni compromesso con la sinistra, che pure rivendicava da settimane un ruolo di governo. Non a caso, la reazione del leader di LFI, Jean-Luc Mélenchon, è stata immediata: una “provocazione”.

In realtà Lecornu incarna il paradosso francese: politico pragmatico, ben radicato nei territori e stimato per la capacità di dialogo con gli eletti locali, deve ora affrontare un’Assemblea divisa, in cui nessuna maggioranza appare solida. Il suo compito prioritario sarà far approvare la legge di bilancio 2026 ed evitare una nuova crisi istituzionale. Una sfida che appare più tecnica che visionaria, ma da cui dipende la credibilità della presidenza Macron negli ultimi anni del mandato.

Dietro la cronaca si intravede un problema più profondo. La Francia, culla storica della democrazia parlamentare europea, sembra oggi ostaggio della frammentazione: governi che cadono, opposizioni che si radicalizzano, movimenti sociali pronti a bloccare il Paese con scioperi e proteste. La società appare divisa tra chi chiede sicurezza e rigore e chi invoca giustizia sociale e redistribuzione. Lecornu dovrà muoversi in questo terreno minato, senza disporre di un capitale politico personale paragonabile a quello dei grandi premier del passato.

La lezione che arriva da Parigi è chiara: quando la politica smarrisce il senso della mediazione, la stabilità diventa impossibile. E non basta affidarsi alla giovinezza o alla fedeltà per governare un Paese lacerato. Tocca alla Francia ritrovare la via del dialogo, perché senza compromesso democratico anche le istituzioni più solide rischiano di apparire fragili.

In fondo, è la stessa sfida che riguarda l’Europa intera: la democrazia non vive di uomini soli al comando, ma di comunità capaci di condividere il potere e costruire insieme il futuro.