Commento all’omelia del Santo Padre Leone XIV per il Giubileo della spiritualità mariana
C’è un filo sottile ma luminoso che lega il pontificato di Leone XIV a quello del suo predecessore, Francesco: la centralità di Cristo come cuore pulsante della vita spirituale e la consapevolezza che Maria non sottrae nulla a questo centro, ma lo rivela nella sua purezza più alta. La prima Messa giubilare dedicata alla spiritualità mariana, celebrata ieri in Piazza San Pietro, ha offerto un’immagine limpida di questa continuità teologica e pastorale.
«Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti» (2Tm 2,8): così si è aperta l’omelia del Pontefice, pronunciata in una piazza gremita e silenziosa, segno di un popolo che ascolta non solo parole, ma il respiro stesso di una fede che si fa memoria viva. «La spiritualità mariana – ha detto Leone XIV – ha Gesù come centro». In questa frase si condensa una visione ecclesiale che supera ogni rischio di devozionismo disincarnato e restituisce alla figura di Maria la sua verità biblica: quella della discepola che tiene viva la memoria del Risorto nella carne della storia.
La fedeltà di Dio e la memoria di Gesù
Il Papa ha letto la vicenda di Paolo in catene come icona della fedeltà di Dio che non rinnega se stesso. È un’immagine cara anche a Francesco, che nel suo magistero ha spesso evocato la “fedeltà di Dio” come nome proprio della misericordia. Leone XIV vi innesta la dimensione della memoria: la domenica, dice, «ci rende cristiani», perché è il giorno in cui il tempo si apre al Risorto. Ogni spiritualità, dunque, se non è memoria viva di Gesù, rischia di diventare solo esercizio umano, “spiritualità senza Spirito”.
Questo richiamo all’essenziale si intreccia con una profonda lettura della Parola: il racconto di Naamàn, il Siro guarito dalla lebbra (2Re 5), diventa parabola di un mondo che nasconde le proprie ferite dietro armature di potere e successo. Il Papa cita le parole di Francesco alla Curia Romana, quando questi aveva ricordato che l’armatura di Naamàn copriva un’umanità fragile. La continuità è evidente: come il suo predecessore, Leone XIV vede nella nudità di Cristo — “che nasce e muore nudo” — la verità della fede, l’antidoto a ogni vanità clericale o religiosa.
Maria, la discepola che svela la semplicità del Vangelo
Il cuore dell’omelia risuona in una frase che potrebbe diventare una cifra del pontificato: «La spiritualità mariana è a servizio del Vangelo: ne svela la semplicità».
Non si tratta di una semplice riflessione devozionale, ma di una chiave teologica: Maria è colei che educa il credente a “tornare a Gesù”, a “meditare e collegare i fatti della vita nei quali il Risorto ancora ci visita e ci chiama”. È la stessa prospettiva di Evangelii gaudium, dove Francesco invitava a guardare a Maria per “credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”. Leone XIV ne fa un appello concreto: il Magnificat non è un canto del passato, ma un programma di vita che smaschera i poteri e apre orizzonti di giustizia.
Qui emerge il tratto pastorale che già caratterizza i primi mesi del suo pontificato: il rifiuto di ogni spiritualità che anestetizza il cuore. “Guardiamoci da forme di culto che non ci legano agli altri”, ha ammonito, ricordando che «il cammino di Maria è dietro a Gesù, e quello di Gesù è verso ogni essere umano». È un richiamo evangelico che si fa sociale: la spiritualità autentica non separa, ma unisce; non eleva barriere, ma si fa prossima al povero, al ferito, al peccatore.
La tenerezza di Dio e la missione della Chiesa
Nel passo conclusivo, Leone XIV sembra quasi riprendere, con accenti nuovi, l’eco delle parole di Francesco a Fatima: “Maria è la Madre che apre il mondo a Dio e Dio al mondo”. Il Papa attuale lo traduce così: la spiritualità mariana “rende attuale nella Chiesa la tenerezza di Dio, la sua maternità”. È un’espressione di forte densità teologica: la Chiesa è chiamata a essere madre, non giudice; tenera, non debole; ferma, ma compassionevole.
C’è, in questa visione, una rinnovata comprensione del Giubileo come tempo di “conversione e di restituzione, di ripensamento e di liberazione”. Non un evento da celebrare, ma un processo da vivere. Maria diventa qui icona della Chiesa che, orientata al Figlio, “ancora e per sempre ci orienta a Gesù, il crocifisso Signore”.
Una Chiesa mariana per un mondo ferito
Il tono complessivo dell’omelia di Leone XIV mostra un ponte sicuro con il pontificato precedente, ma anche un accento personale: la ricerca di una spiritualità mariana capace di parlare al mondo ferito di oggi. È come se il Papa volesse dire che la devozione a Maria non appartiene al passato né ai “semplici”, ma al futuro della fede. In un tempo segnato da armature culturali e ferite morali, Maria diventa la maestra di umanità che insegna a credere nella grazia nuda, quella che libera.
In questo senso, la Messa per il Giubileo della spiritualità mariana non è stata soltanto una celebrazione, ma una dichiarazione di intenti: una Chiesa che non si rifugia nella nostalgia, ma si lascia riplasmare dalla tenerezza del Vangelo, come Maria nel suo “sì” quotidiano.
Così, nella fedeltà al Cristo risorto e alla scuola di sua Madre, Leone XIV prosegue la via aperta da Francesco: quella di una Chiesa povera e tenera, che non teme di sporcarsi le mani per guarire le ferite del mondo.