L’Iran non ha cercato la guerra, ma la sta subendo. Attacchi sistematici contro infrastrutture nucleari, militari e civili, violazioni ripetute dello spazio aereo e operazioni clandestine che minano la sovranità nazionale. Da anni, Israele conduce operazioni unilaterali sul territorio iraniano, giustificandole come difesa preventiva. Ma la legalità internazionale dice altro.

Secondo la Carta delle Nazioni Unite, in particolare l’Articolo 2(4), ogni uso della forza contro l’integrità territoriale di uno Stato è proibito, salvo esplicita autorizzazione del Consiglio di Sicurezza o in caso di legittima difesa. Le incursioni israeliane contro gli impianti di Natanz e Fordow – entrambi monitorati dall’AIEA – non rientrano in alcuna di queste eccezioni. Costituiscono, al contrario, una palese violazione del diritto internazionale, aggravata dal rischio concreto di disastri nucleari in una regione già instabile.

In risposta, l’Iran ha invocato l’Articolo 51 della medesima Carta, che garantisce a ogni Stato il diritto alla difesa legittima in caso di attacco armato. I missili lanciati contro obiettivi militari israeliani a Haifa si collocano dunque, per il diritto, entro il quadro normativo di una reazione proporzionata a un’aggressione preesistente.

Eppure, nell’opinione pubblica occidentale, il racconto si ribalta: Israele è vittima, l’Iran è aggressore. È il riflesso di un doppio standard che mina la credibilità dell’intero ordine giuridico internazionale. Gli stessi princìpi che giustificano l’intervento armato occidentale in nome della difesa o dei diritti umani, vengono ignorati quando a invocarli è un Paese fuori dall’orbita atlantica. È una giustizia a geometria variabile che, come denuncia il giurista Costas Douzinas, serve a legittimare l’egemonia politica e militare dell’Occidente.

Nel mezzo di questa escalation, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU appare paralizzato da veti incrociati e interessi geopolitici. Ma proprio questa paralisi restituisce piena validità alla risposta iraniana: quando le vie diplomatiche sono bloccate, il diritto alla difesa diventa l’unico strumento di sopravvivenza.

È impossibile comprendere il conflitto fuori dal contesto della lotta per il controllo geopolitico e delle risorse energetiche del Medio Oriente. La campagna contro l’Iran si iscrive in una più ampia strategia di contenimento volta a indebolire ogni forma di sovranità autonoma nella regione, criminalizzando le resistenze e santificando gli attacchi, purché provengano dagli “alleati”.

Se davvero si vuole evitare una catastrofe su scala regionale, occorre smettere di usare il diritto come arma politica e riconoscere l’equità delle regole. Il diritto alla difesa non è prerogativa di pochi. È il fondamento stesso della convivenza tra le nazioni.

O si ristabilisce la legalità per tutti, o si spalanca la porta a una guerra imposta, ma non ancora irreversibile.