Mons. Thibault Verny nuovo capo della Commissione per la protezione dei minori

Con la nomina di mons. Thibault Verny a capo della Commissione per la protezione dei minori, Leone XIV rilancia l’impegno della Chiesa contro la piaga degli abusi. Una sfida dolorosa ma necessaria, che la Chiesa sta affrontando con più trasparenza e rigore di qualsiasi altra istituzione.

Non ci sono scorciatoie. Non ci sono più alibi, né parole di circostanza. La lotta contro la pedofilia è oggi una delle sfide più urgenti, serie e profonde per la credibilità della Chiesa cattolica. E lo è tanto più quanto questa piaga è stata a lungo taciuta, coperta, banalizzata o confinata nel perimetro di «pochi casi isolati». Quei tempi — ce lo ricorda ancora una volta Leone XIV — sono finiti.

La nomina di mons. Thibault Verny, arcivescovo di Chambéry, a presidente della Commissione pontificia per la protezione dei minori, segna una nuova tappa, lucida e coraggiosa, in un percorso già intrapreso con determinazione da Papa Francesco nel 2014 e ora riaffermato dal suo successore. Mons. Verny non è un volto nuovo: ha presieduto fino a poche settimane fa il Consiglio per la prevenzione della pedofilia presso la Conferenza episcopale francese, ed è considerato uno dei vescovi più competenti e sensibili sul tema.

Nel raccogliere l’eredità del cardinale Seán O’Malley — che ha guidato la Commissione con uno stile profetico e instancabile — Verny ha riconosciuto con sobrietà «la gravità e l’urgenza» del compito affidatogli: aiutare la Chiesa a essere «più vigilante, più responsabile e più compassionevole».

Ma è importante dirlo senza retorica: non si parte da zero. E non si parte in ritardo. Da oltre dieci anni la Chiesa cattolica è l’unica istituzione globale che ha messo in campo un sistema di prevenzione, ascolto, accompagnamento e controllo capillare, su scala mondiale, per affrontare il dramma degli abusi. Nonostante gli scandali, le vergogne e le ferite ancora aperte, nessuna struttura civile, politica, scolastica o familiare ha fatto altrettanto.

I fatti, non le impressioni

Nel 2014 è nata la Pontificia Commissione per la protezione dei minori, composta non solo da ecclesiastici, ma anche da professionisti laici, vittime e familiari di vittime. A essa è stato dato mandato di proporre linee guida, formare i responsabili, valutare i protocolli e riferire direttamente al Papa.

Parallelamente, si è imposto a tutta la Chiesa universale l’obbligo di denuncia immediata, sono stati rimossi centinaia di religiosi, cardinali compresi, e sono stati istituiti centri di ascolto e prevenzione in ogni conferenza episcopale. Nel 2019, con il motu proprio Vos estis lux mundi, Francesco ha stabilito nuove norme per indagare i casi di abuso e di cattiva gestione da parte dei vescovi. Nessuno è più al di sopra delle regole.

Eppure, nel dibattito pubblico sembra ancora prevalere un certo riflesso automatico: colpevolizzare “la Chiesa” come fosse un’astrazione omogenea, un sistema oscuro che difende i propri carnefici e nasconde i misfatti. Ma la verità è più complessa, e più onesta: il problema degli abusi sui minori è trasversale a tutte le istituzioni educative e familiari, ma solo la Chiesa ha scelto di affrontarlo su scala globale con mezzi concreti, e con una trasparenza senza precedenti.

Una conversione culturale, non una strategia difensiva

Mons. Verny lo ha detto chiaramente: si tratta di «una conversione di tutti». Non di una campagna d’immagine. E ha anche aggiunto un principio decisivo: nessuna Chiesa locale può dirsi esente o rimandare l’attuazione di misure adeguate. L’obiettivo è che ogni diocesi del mondo, a prescindere dal contesto culturale o dai mezzi disponibili, possa garantire i più alti standard di protezione dei minori. Per questo sarà essenziale il principio di subsidiarietà e condivisione delle risorse, come ha sottolineato lo stesso Verny.

Dietro questa svolta, c’è una comprensione nuova dell’Evangelizzazione stessa: non ci può essere annuncio credibile del Vangelo dove non si garantisce la sicurezza e la dignità dei più piccoli. «Solo così l’Evangelo potrà essere creduto», ha detto il nuovo presidente. Ed è un principio che vale anche per l’Italia, dove l’attenzione al tema è in crescita, ma dove serve un maggiore coordinamento tra diocesi, congregazioni religiose e autorità civili, evitando sia le cacce alle streghe che le zone d’ombra.

La Chiesa non si autoassolve, ma si rigenera

Nessuno, nella Chiesa, vuole minimizzare gli scandali. I danni inflitti dalle violenze clericali sono reali, profondi, e in molti casi indelebili. Ma la vera questione non è solo “chi ha sbagliato”, bensì chi oggi si assume la responsabilità di cambiare, prevenire e curare.

In questo senso, la nomina di mons. Verny è un segno di speranza. Ma è anche un impegno ecclesiale e personale per ciascuno, perché ogni educatore, ogni pastore, ogni battezzato è chiamato a vigilare con intelligenza e amore, a non voltarsi mai più dall’altra parte, a sostenere chi soffre e ad accompagnare chi cerca giustizia.

Il Vangelo non si difende con le parole, ma con le scelte. E questa — la protezione dei più fragili — è oggi la più evangelica di tutte.