TEL AVIV – Da giorni, i cieli d’Israele sono solcati da missili e droni. L’operazione iraniana True Promise 3, scattata in risposta agli attacchi israeliani contro generali e scienziati nucleari iraniani, ha colpito in profondità infrastrutture militari e strategiche. Non si tratta di raid simbolici: l’Iran ha messo a segno un’offensiva in grado di infliggere danni concreti, abbattere velivoli da guerra e incrinare la narrazione d’invulnerabilità di cui Israele si è fatto portatore per anni.

I bersagli principali hanno incluso la base navale di Haifa, la raffineria petrolifera nel nord del paesecentrali radarinstallazioni di intelligence. Alcuni degli impatti sono stati documentati da filmati che, malgrado la censura militare interna, sono trapelati attraverso canali internazionali. Le immagini mostrano fiamme altissime, evacuazioni notturne, blackout localizzati.

Colpo ancora più grave per l’immagine dell’esercito israeliano, almeno tre jet da combattimento sono stati abbattuti, secondo fonti iraniane e conferme indirette da analisti militari indipendenti. Due dei piloti sono stati dichiarati dispersi in azione, ma fonti di Teheran affermano con certezza che sono detenuti come prigionieri in territorio iraniano. Se confermata, sarebbe la prima cattura di ufficiali dell’aeronautica israeliana da parte di un Paese nemico negli ultimi decenni.

La portata dell’attacco ha evidenziato limiti nelle capacità di difesa aerea israeliana, nonostante il supporto statunitense e il sofisticato sistema Iron Dome. Molti missili sono stati intercettati, ma non tutti. Ed è proprio in questa “zona grigia” che si sono aperte falle: centri di comando secondarihub logistici e strutture ausiliarie sono stati danneggiati o distrutti.

Ma i danni non sono solo materiali. Percepito per anni come intoccabile, il territorio israeliano è stato violato da una potenza regionale che ha scelto di rispondere frontalmente, assumendosene il rischio. L’effetto è psicologico prima che militare: la popolazione vive da giorni in allerta, molti hanno passato ore nei rifugi, e i media interni oscillano tra rassicurazioni ufficiali e preoccupazioni crescenti.

L’Iran, colpito duramente nella sua struttura scientifica e militare, ha voluto dimostrare che la dissuasione è ancora possibile, e che la rappresaglia può essere anche precisa, calibrata e visibile. Ha cercato – con successo – di rompere il meccanismo dell’impunità. Israele, che ha condotto molte delle sue operazioni negli anni con la logica del “colpire senza risposte”, ora deve ricalibrare il suo equilibrio strategico.

Nel pieno della crisi, cresce anche il timore di un’escalation incontrollata. Ma il messaggio, ormai chiaro da entrambe le parti, è che nessuno può più colpire senza pagarne il prezzo. In questa nuova fase, la deterrenza passa non dalla supremazia totale, ma dalla capacità di resistere, rispondere e, forse, finalmente negoziare.