L’Irlanda ha scelto una donna senza partito, senza slogan e senza padrini: Catherine Connolly, 68 anni, psicologa e avvocata, già vicepresidente del Parlamento.

Eletta con oltre il 63% dei voti, rappresenta la prima vera unione della sinistra irlandese, sostenuta dal Sinn Féin e da un’ampia rete di movimenti civici.

Succede a Michael D. Higgins, poeta e umanista amatissimo, di cui raccoglie l’eredità più profonda: una presidenza civica e culturale, lontana dagli apparati, vicina al popolo.

Una presidente della lingua e della dignità

Connolly incarna un’Irlanda che riscopre la propria identità linguistica e popolare.

Parla correntemente il gaelico, che vuole rilanciare come segno di autonomia culturale e come lingua viva del futuro, non solo del passato.

Durante la campagna ha fatto della riunificazione dell’isola un tema centrale, definendola “inevitabile” e auspicando che possa realizzarsi entro i sette anni del suo mandato.

In un Paese ancora diviso dal confine del 1921, la sua elezione riaccende un sogno di unità non come nostalgia, ma come progetto politico e spirituale.

Una voce indipendente in un mondo allineato

Connolly non ha esitato a criticare apertamente gli Stati Uniti, primo partner economico dell’Irlanda, accusandoli di essere “profondamente coinvolti in un’industria delle armi che semina sangue nel mondo”.

Non è antiamericanismo, ma una forma di autonomia morale: l’idea che la piccola Irlanda possa restare fedele a sé stessa anche quando il mondo si muove a blocchi.

La sua posizione sulla Palestina, riconosciuta da Dublino come Stato indipendente nel 2024, conferma la vocazione etica di un Paese che preferisce la coscienza alla convenienza.

In un’Europa lacerata tra guerre e alleanze militari, la nuova presidente irlandese sembra voler restituire spazio alla parola morale nella politica internazionale.

Un’Irlanda che chiede giustizia sociale

Ma la vera forza di Catherine Connolly nasce nel cuore dell’isola, non nei consessi diplomatici.

Da anni denuncia la crisi abitativa che colpisce soprattutto i giovani, accusando i partiti storici Fine Gael e Fianna Fáil di aver “creato la povertà urbana” attraverso politiche miopi.

Su questo terreno ha conquistato il voto delle nuove generazioni, sostenuta da musicisti, artisti e rapper come Fontaines D.C. e Kneecap, simboli di una cultura giovanile orgogliosamente irlandese e ribelle.

Il suo linguaggio diretto, senza filtri, ha trasformato la delusione in partecipazione.

Una guida sobria per un’Europa stanca

La vittoria di Connolly non è soltanto un fatto irlandese.

In un continente che sembra incapace di credere nella politica come servizio, la sua figura rimette in gioco l’idea di autorità morale: una donna che non parla di potere, ma di misura.

Dopo anni di populismi e tecnocrazie, la “presidente del popolo” di Dublino offre un segno diverso: quello di una leadership che unisce fermezza e mitezza, nazionalità e universalismo.

In un mondo che torna a esaltare la forza, Catherine Connolly ricorda che la dignità politica nasce dal limite.

L’Irlanda, ancora una volta, dà voce a un’Europa che non ha smesso di cercare la sua anima.