Nicușor Dan è il nuovo presidente con il 53,6% dei voti. Una vittoria che segna un chiaro orientamento europeista per Bucarest, ma rivela la frattura tra i centri urbani e le aree rurali, dove avanza l’influenza del nazionalismo filorusso.
BUCAREST — La Romania ha scelto. E lo ha fatto seguendo la bussola dell’Unione Europea, contro la deriva populista e ultraconservatrice. Con il 53,6% dei voti, il sindaco centrista di Bucarest Nicușor Dan ha battuto George Simion, il leader dell’AUR (Alleanza per l’Unità dei Romeni), formazione nazionalista e filo-Mosca. L’esito del voto presidenziale, che ha visto un’affluenza record del 64,7%, segna una svolta chiara: le città hanno optato per l’integrazione europea, mentre le campagne si sono rifugiate nel sovranismo nostalgico, alimentato dalla propaganda russa.
Un voto urbano, una sfida rurale
L’analisi territoriale del voto mostra due paesi: le grandi aree urbane, trainate da Bucarest e Cluj-Napoca, hanno sostenuto Dan, mentre le zone rurali hanno scelto Simion. A determinare questa frattura non è solo l’orientamento politico, ma anche il modo in cui viene percepita l’Europa: nelle città, l’Ue rappresenta sviluppo, garanzie democratiche, opportunità; nelle campagne, invece, l’immagine trasmessa da Mosca – e rilanciata da parte della stampa populista locale – è quella di un’Europa troppo concentrata su diritti LGBTQIA+, eutanasia e secolarizzazione, lontana dalle sensibilità religiose e identitarie delle famiglie rurali.
La narrazione russa: baluardo cristiano contro il “decadentismo” europeo
Dietro la candidatura di George Simion si è intravista l’ombra di un’operazione culturale ben più ampia: quella del Cremlino, che da tempo cerca di accreditarsi nei Balcani e in Europa orientale come difensore dei “valori tradizionali” contro un’Europa “scristianizzata”. L’identità nazionale, la religione ortodossa e la retorica della “nazione assediata” sono gli ingredienti del populismo autoritario promosso da Mosca, e che ha fatto breccia in molti villaggi e piccole città della Romania.
Ma la Romania urbana ha reagito. La figura indipendente e pragmatica di Nicușor Dan è riuscita a parlare a un elettorato stanco del nazionalismo urlato e delle strumentalizzazioni identitarie. Il nuovo presidente ha promesso stabilità, rafforzamento del legame con l’UE e la NATO, e una posizione chiara di sostegno all’Ucraina nel conflitto in corso.
Un segnale forte all’Europa
Il risultato elettorale è stato accolto con sollievo dalle cancellerie europee. Dopo le preoccupazioni suscitate dall’annullamento delle elezioni del 2024 a causa delle interferenze informatiche e mediatiche riconducibili alla Russia, la consultazione del 2025 rappresenta un importante riscatto democratico. I timori di una nuova “vittoria illiberale” sono stati sventati.
E tuttavia, la strada del nuovo presidente non sarà semplice. Il deficit pubblico del 9,3% del PIL impone riforme rigorose. Dan ha escluso aumenti di tasse, puntando piuttosto su una migliore gestione dei fondi europei e sulla lotta agli sprechi. Ma, per farlo, dovrà costruire una coalizione ampia e coesa, contando sull’appoggio di almeno tre partiti pro-europei. L’AUR, intanto, si prepara a giocare il ruolo di opposizione radicale, già occupando il secondo posto in Parlamento.
Il compito della Chiesa e della società civile
In un paese a maggioranza ortodossa ma con forti legami storici anche con il cattolicesimo, la frattura culturale tra l’Europa dei diritti e la Romania delle tradizioni resta una sfida aperta. La Chiesa, in questo contesto, è chiamata a un ruolo delicato: promuovere il discernimento, evitare strumentalizzazioni ideologiche della fede e favorire un dialogo tra apertura e identità, tra accoglienza e radici.
La sfida di Dan, in definitiva, non sarà solo politica, ma culturale e spirituale: dimostrare che si può essere saldamente europei senza rinunciare alla propria storia, e che la democrazia è più forte quando è capace di ascoltare e includere. Anche chi, per paura o nostalgia, guarda ancora a Mosca.