«Lo dico chiaramente: se l’Europa non difende la libertà dei suoi rappresentanti eletti, la sua credibilità politica vacilla».. Questa affermazione, che potrebbe sembrare retorica, oggi si impone con urgenza di fronte al caso Ilaria Salis, l’insegnante e attivista italiana detenuta in Ungheria per oltre un anno e oggi parlamentare europea. Eletta a giugno 2024 con Alleanza Verdi-Sinistra, Salis è attualmente al centro di una richiesta ungherese di revoca dell’immunità parlamentareche, se accolta, potrebbe riportarla in carcere.

Non ci si illuda: non è solo una questione giudiziaria, né semplicemente un contenzioso tra Budapest e Bruxelles. Il caso Salis è ormai diventato il terreno su cui si misura la tenuta dello Stato di diritto in Europa, il rispetto delle garanzie democratiche, e la distanza crescente tra retorica sovranista e valori condivisi dell’Unione.

Quando l’immunità protegge la libertà

L’immunità parlamentare non è un privilegio personale: è una tutela istituzionale. Serve a impedire che un potere statale – in questo caso un governo con evidenti tratti illiberali – possa colpire un rappresentante eletto con strumenti giudiziari a scopo politico. Non a caso, il regolamento del Parlamento europeo e il Trattato sul funzionamento dell’Unione prevedono che la revoca sia possibile solo se non esiste un intento persecutorio.

Nel caso Salis, le perplessità sono forti e legittime. La coincidenza temporale tra la richiesta dell’Ungheria e l’intervento della parlamentare in aula contro Orbán – definito da lei «un tiranno» – desta allarme. La detenzione iniziale in condizioni che l’Italia ha definito «disumane» ha già sollevato interrogativi sul rispetto dei diritti umani in quel contesto giudiziario.

Europa, difendi chi ti rappresenti

Non si tratta di entrare nel merito delle accuse. Non si tratta nemmeno di difendere per partito preso una persona che, se colpevole, dovrà risponderne. Ma prima ancora del giudizio, occorre garantire un processo imparziale e la protezione da vendette politiche. E questo è oggi tutt’altro che scontato in Ungheria, come dimostrano i ripetuti richiami di Bruxelles e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea alle derive illiberali del governo di Orbán.

Se la Commissione JURI e il Parlamento europeo non terranno conto del contesto politico in cui si inserisce la richiesta ungherese, l’Europa rischia di tradire se stessa. Non difendere Ilaria Salis ora significherebbe accettare che una parlamentare eletta venga incarcerata per fatti commessi prima del mandato e – secondo alcuni osservatori – per la sola colpa di aver disturbato un governo ostile ai principi democratici.

Non è un simbolo, è una persona

Ilaria Salis non è un’icona da idolatrare, ma una persona concreta, con una storia difficile e una scelta politica forte alle spalle. Incarna oggi la tensione tra una società che cerca giustizia e uno Stato – quello ungherese – che mostra un inquietante fastidio per il dissenso.

Difendere la sua immunità non è coprire l’illegalità, ma pretendere che il diritto prevalga sulla vendetta, la trasparenza sul sospetto, l’Unione sulla disgregazione nazionale.

L’Europa che non può permettersi ambiguità

Il caso Salis chiama in causa la coscienza politica di ciascun parlamentare europeo. Ogni voto sulla sua immunità sarà un voto sull’identità dell’Europa:

vuole essere una comunità di diritto, o solo un’area economica dove la libertà è negoziabile?

Se davvero vogliamo un’Europa che non esclude nessuno, dobbiamo iniziare da qui:

non permettendo che una rappresentante eletta venga processata per ragioni che odiano la libertà più della colpa.