Intervista all’ambasciatore Franklin Zeltzer Malpica e al prof. Luciano Vasapollo.
Il messaggio è chiaro e universale e riguarda il Venezuela come terra profondamente cristiana, dove la fede cattolica ha saputo inculturarsi purificando ed esaltando i valori delle tradizioni locali di derivazione indigena. Non abbiamo soltanto il medico dei poveri José Gregorio Hernández Cisneros, un dottore di strada, nel senso che ha speso la sua vita andando a visitare i malati poveri nelle loro case anche se erano tuguri, uno scienziato e professore universitario che ha dedicato tutto se stesso e i propri averi ad aiutare i bisognosi, spesso fornendo le medicine di tasca propria. Durante la pandemia influenzale del 1918, si distinse per la sua attiva partecipazione nell’assistenza ai malati, una figura amata e venerata in Venezuela, beatificato dalla Chiesa Cattolica nel 2021, ed oggi considerato un simbolo di unità per il paese.
Domenica prossima, 19 ottobre, salirà con lui sugli altari – in un rito presieduto da Papa Leone XIV – anche una donna venezuelana, Madre Carmen Rendiles Cisneros, nata a Caracas nel 1903 e segnata fin dall’infanzia dalla perdita del braccio sinistro, Madre Carmen Rendiles Cisneros trasformò la sua fragilità in una forza silenziosa e luminosa. Entrata tra le Ancelle di Gesù nel Santissimo Sacramento, provenienti dalla Francia, consacrò la propria vita a Dio professando i voti perpetui nel 1932. La sua disabilità non fu mai un ostacolo, ma un segno di grazia: con la sola mano rimasta servì il Signore e i fratelli con una dedizione senza misura.
Nel 1945 fu chiamata a guidare come superiora le case venezuelane dell’ordine, che amministrò con umiltà e fermezza, unendo il rigore della fede alla dolcezza di una madre. Di fronte alle difficoltà e alle divergenze con la casa madre francese, ebbe il coraggio di chiedere a Roma la separazione delle comunità di Venezuela e Colombia, ottenendo nel 1966 il riconoscimento di una nuova famiglia religiosa autonoma, radicata nella terra latinoamericana ma fedele allo spirito originario.
“Abbiamo dunque un santo uomo e una santa donna, simbolo dell’equilibrio e della complementarità della santità nel nostro popolo”, afferma l’ambasciatore del Vaneziela presso la Santa Sede, Franklin Zeltzer Malpica, intervistato da FarodiRoma insieme al prof. Luciano Vasapollo, economista prestigioso, militante marxista e grande amico del paese di Simon Bolivar e Hugo Chavez ed anche di Papa Francesco che scherzando lo salutava come “il mio amico ateo, grazie a Dio”.
“Il loro esempio – sottolinea il diplomatico venezuelano – ci ricorda i valori che da sempre il Venezuela porta nel mondo, anche attraverso la sua politica estera: la diplomazia di pace. È la stessa linea che hanno seguito i nostri presidenti, da Chávez a Maduro — cercare la pace, difendere la sovranità, e chiedere semplicemente di poter vivere in pace.
Siamo un Paese aperto al dialogo con tutte le nazioni, purché vi siano rispetto e uguaglianza. Non accetteremo mai rapporti di subordinazione. Non ci inginocchieremo mai davanti a nessun impero o potenza. Ma quando il rapporto è tra eguali, il Venezuela è sempre pronto a cooperare.
Il nostro messaggio, oggi come sempre, è un messaggio di pace — un impegno profondo che il presidente Maduro ci ha indicato come linea guida: la pace tra i popoli e la dignità tra le nazioni”.
Signor Ambasciatore, Lei ha detto che “Venezuela sta de fiesta” e che avete già cominciato a celebrare la Navidad dal primo ottobre. Ci può spiegare cosa significa per il Venezuela questa celebrazione anticipata?
Esatto. In Venezuela, il nostro presidente ha decretato che la Navidad inizi il primo di ottobre, e da allora stiamo celebrando con gioia. È un modo per far vivere più intensamente il senso di speranza, fraternità e fede che la stagione natalizia porta con sé. Questa celebrazione è anche legata al riconoscimento spirituale e culturale del Paese, che si prepara a commemorare eventi molto significativi presso la comunità venezuelana a Roma.
Ci dica di questi eventi a Roma: quando iniziano e cosa prevedono?
Le celebrazioni cominceranno il 17 ottobre. Il giorno principale sarà il 19, quando avverrà la canonizzazione dei nostri due santi. Il 20 ospiteremo l’intronizzazione della Vergine di Coromoto, nostra patrona, nei giardini del Vaticano — gesto al quale siamo profondamente grati al Papa. Il 18 ci sarà un concerto di gala al Pincio, davanti a Piazza del Popolo, con la nostra orchestra sinfonica giovanile e il coro Simón Bolívar: quasi 300 musicisti saranno in azione per testimoniare la gioia del popolo venezuelano. Infine, il 25 ottobre, celebreremo una grande cerimonia liturgica e una straordinaria festa popolare a Caracas.
Come giudica il fatto che queste celebrazioni si svolgano proprio a Roma, nel cuore della Chiesa Cattolica?
È un onore e un segno di comunione. La nostra presenza a Roma per queste celebrazioni mostra al mondo che il Venezuela vive questi momenti con fede e speranza, e con grande orgoglio per i nostri santi. Fare queste manifestazioni vicino alla Santa Sede dà loro una risonanza universale e rafforza l’unione spirituale con la Chiesa cattolica.
Qual è il messaggio che il popolo venezuelano vuole portare con queste celebrazioni?
Vogliamo testimoniare che la fede, la cultura e l’identità religiosa sono parte essenziale della nostra nazione. Non si tratta solo di eventi religiosi, ma di manifestazioni di dignità, speranza e unità. Con i santi, con la Vergine di Coromoto, vogliamo ispirare il cammino del Venezuela verso la pace, il rispetto reciproco e la riconciliazione.
Professore Vasapollo, su FarodiRoma abbiamo definito Hugo Chávez “San Chávez d’America”, un uomo capace di incarnare nella politica lo spirito evangelico della giustizia e dell’amore per i poveri. Lei condivide questa lettura?
Io penso che abbia perfettamente ragione il nostro caro ambasciatore e che il Venezuela di Chávez e di Maduro si sia sempre mosso su un principio autentico di pace. Ma la pace vera non è quella proclamata nei salotti o nei palazzi del potere: è la pace che nasce dallo stare vicino ai poveri, dal rispondere ai loro bisogni, dal risolvere i problemi concreti del popolo attraverso un socialismo bolivariano, umanitario e cristiano. Perché sì, sia Chávez che Maduro si sono sempre dichiarati cristiani, e lo sono nei fatti. Il loro socialismo non è mai stato contro la fede, ma anzi l’ha nutrita di giustizia sociale e solidarietà concreta.
In questo senso, lei collega la fede bolivariana alla dimensione del “costruttore di pace” evangelico?
Esattamente. Il vero cristiano non è chi predica la pace mentre semina l’odio, ma chi costruisce ponti, chi dialoga, chi condivide la sofferenza degli ultimi. Ecco perché mi colpisce profondamente vedere che il Premio Nobel per la Pace sia stato assegnato a María Corina Machado, o che tra i candidati figurasse persino Donald Trump. È un’assurdità morale e politica. Perché il Premio Nobel della pace dovrebbe servire a favorire il dialogo fra i popoli, non a legittimare chi ha fomentato disordini, violenza e odio.
Lei ha vissuto da vicino la realtà venezuelana. Cosa la colpisce di più di questa scelta del Comitato Nobel?
C’è qualcosa di profondamente inquietante nell’idea di assegnare il Premio Nobel per la Pace a María Corina Machado, leader di una parte minoritaria e radicale dell’opposizione venezuelana. Inquietante soprattutto per chi conosce bene — non dai salotti di Bruxelles o dagli studi TV di Miami, ma camminando per le strade di Caracas o parlando con la gente nei *barrios* — la realtà concreta del Venezuela. È impossibile ignorare che tale riconoscimento, in questo momento storico, non sia neutrale. In piena crisi diplomatica e navale con gli Stati Uniti, e con le tensioni ancora calde dopo le elezioni presidenziali del 2024, premiare la Machado significa dare una patente morale a una strategia di intervento esterno, giustificato da una retorica umanitaria.
Non sarebbe la prima volta. Lo abbiamo già visto con Juan Guaidó, nominato “presidente ad interim” dalla comunità internazionale senza alcun mandato elettorale. Oggi ci si chiede: María Corina Machado sarà la prossima? Chi, come me, ha vissuto e studiato da vicino le dinamiche bolivariane, sa che la sua figura è tutt’altro che unitaria o pacificatrice. Non è una leader dell’opposizione riconosciuta da tutto il campo anti-chavista, né si è mai posta in una prospettiva costruttiva o di confronto democratico. Al contrario, ha spesso incoraggiato mobilitazioni di piazza sfociate in violenza, contribuendo a radicalizzare lo scontro. I ventisette morti del 2024 gridano ancora giustizia. Non ha sparato lei, certo, ma è da lei che sono partite le parole d’ordine e la retorica che ha legittimato la tensione e lo scontro.
Quindi, secondo lei, Machado non rappresenta una vera opposizione democratica?
No, assolutamente. Occorre smontare la narrazione che la descrive come “la leader dell’opposizione venezuelana”. In realtà, l’opposizione vera in Venezuela partecipa alle elezioni, si confronta nelle sedi istituzionali, firma accordi con la mediazione internazionale. María Corina Machado non rappresenta questo fronte: è la punta simbolica e mediatica di un apparato esterno — paramilitare, mediatico e finanziario — che ha come obiettivo non il cambiamento democratico, ma la destabilizzazione del Paese a beneficio degli interessi geopolitici statunitensi.
Assegnarle il Nobel rappresenta un appoggio sconvolgente e ingiusto a una strategia di logoramento e sabotaggio la legittimità di un percorso democratico. Sarebbe come dire che la pace si costruisce con le provocazioni, gli assalti, le pressioni internazionali e le sanzioni economiche che strangolano un popolo.
Lei ha accennato anche alla reazione di alcuni ambienti ecclesiali.
Sì, ho parlato con diversi amici religiosi, tra cui alcuni frati francescani dell’Immacolata, che sono rimasti anch’essi colpiti da questa decisione e anche dalle parole molto prudenti del cardinale Zuppi, presidente della CEI, che ha espresso una certa perplessità confidando al Tg2 di essere più incline a sostenere premi Nobel ricevuti da personalità che godono di un ampio consenso e rappresentano speranze condivise ed esempi da seguire. Tutti noi siamo turbati dal fatto che non venga riconosciuto un processo reale di pace, quello costruito giorno dopo giorno dal popolo venezuelano attraverso il dialogo e la cooperazione solidale.
E allora chi sono, per lei, i veri “beati costruttori di pace”?
I veri beati costruttori di pace sono quelli che ogni giorno compiono atti concreti di dialogo, di solidarietà, di giustizia. In questo senso, la canonizzazione dei due santi venezuelani è un segno concreto di amicizia e di riconoscimento della cristianità profonda del socialismo bolivariano. Non è solo un evento religioso, ma anche politico nel senso più alto: è la conferma che fede e rivoluzione, quando sono vissute con sincerità, possono camminare insieme.
Qual è, infine, il messaggio che il Venezuela offre oggi al mondo?
Il messaggio del Venezuela al mondo è chiaro: la pace si costruisce con la dignità, con il rispetto reciproco e con l’uguaglianza fra i popoli. Il Venezuela non si è mai inginocchiato davanti a nessun impero e non lo farà mai. La nostra diplomazia, quella voluta da Chávez e proseguita da Maduro, è una diplomazia di pace, cristiana e socialista.
Il Nobel a Machado, invece, è un premio che non porta pace, ma tensione. Un gesto politico, non spirituale, che rischia di alimentare retoriche interventiste e nuove escalation militari. Il Venezuela oggi ha bisogno di dialogo e riconciliazione, non di icone mediatiche costruite per giustificare ingerenze straniere. In un tempo in cui la parola “pace” è manipolata come slogan, è nostro dovere — anche come cristiani — denunciare gli applausi sbagliati, anche a costo di essere voce fuori dal coro.
In un tempo in cui la parola pace – conclude Vasapollo – è manipolata come slogan, addirittura fatto proprio dai signori della guerra , è nostro dovere umano , culturale , politico — anche e soprattutto come largo e grande popolo bolivariano , martiano, socialista, umanitario e cristiano come il popolo chavista, denunciare apertamente gli applausi di comodo , sbagliati, funzionali al mantenimento del sistema delle guerre militari, economiche , mediatiche ,anche a costo di essere voce fuori dal coro, continuando sempre a camminare come cantava De Andrè… In direzione ostinata e contraria!