Nel cuore pulsante della Silicon Valley, mentre droni autonomi pattugliano i confini digitali del mondo e start-up visionarie promettono di cambiare il destino dell’umanità, una parola antica, cattolicesimo, torna a circolare nei circuiti di potere del tecnocapitalismo. L’alleanza tra alcuni esponenti di punta del mondo tech – tra tutti Peter Thiel e J.D. Vance – e un certo cattolicesimo tradizionalista, non è un’anomalia né una conversione spirituale in senso stretto, ma una complessa sovrapposizione tra spiritualità, geopolitica, identità occidentale e desiderio di ordine nel caos.
Ma a quale prezzo? E soprattutto: è compatibile questo ritorno al cattolicesimo con l’antropologia cristiana e la Dottrina sociale della Chiesa?
1. “Dio è un costruttore”: il Vangelo secondo la PayPal Mafia
Peter Thiel, tra i padri del capitalismo digitale, non ha mai fatto mistero della sua avversione per il protestantesimo. Lo accusa di aver generato una visione individualista, nichilista e autodistruttiva dell’Occidente. E così abbraccia il cattolicesimo, non tanto nella sua dimensione spirituale universale, ma come dispositivo di ricostruzione identitaria e comunitaria. Come scrive Giuseppe De Ruvo nel suo saggio per Limes, «Thiel è convinto che Dio sia stato il primo startupper della storia», e che creare, andare da 0 a 1, significhi realizzare la volontà divina.
Questa visione, in cui il Dio cristiano diventa modello per l’imprenditore innovatore, può apparire affascinante, ma risulta profondamente problematica per chi conosce la Dottrina sociale della Chiesa. Non è Dio ad assomigliare a un CEO; è l’essere umano ad essere creato a Sua immagine, nella logica del dono e della relazione, non del profitto e del primato tecnologico.
2. Una teologia dell’evento che disintegra la fraternità
Nel mondo accelerato dei big data e dell’intelligenza artificiale, l’antico precetto weberiano dell’etica protestante si rivela inadeguato: fallire oggi non significa essere maledetti, ma superati. Ed è proprio qui che i tecnovassalli trovano nel cattolicesimo una narrazione più adatta: un’etica dell’evento, del rischio creativo, della missione collettiva. Una mistica della costruzione.
Eppure, questa nuova etica post-cristiana stravolge l’antropologia cristiana. Se l’essere umano viene visto come strumento per accelerare la storia o rendere più efficace l’ordine (militare, tecnologico o economico), la persona si trasforma in ingranaggio. Il “principio personalista” viene ridotto a “principio funzionale”.
La Dottrina sociale della Chiesa, da Rerum Novarum a Laudato si’, proclama invece il primato della persona, la centralità del lavoro umano, la sacralità del limite. Nulla di più distante da un’economia che si fonda sull’obsolescenza programmata anche delle coscienze.
3. Una strana alleanza: tradizionalisti e tecnovassalli
L’alleanza tra conservatori cattolici americani e imprenditori tecno-ottimisti non si basa su una comunione teologica, ma su una convergenza politica: il nemico comune. Cina, wokismo, governance globale, uguaglianza universalista: tutto ciò che turba la costruzione di un “nuovo ordine” viene rigettato. L’ordo amoris, l’ordine dell’amore di sant’Agostino, si trasforma in ordo bellicus, dove prima si ama ciò che è vicino e affine (la propria comunità, la propria cultura, il proprio codice), e solo dopo, forse, il resto del mondo.
La logica è quella schmittiana della decisione sovrana: individuare il nemico per poi, eventualmente, amarlo. Ma così facendo si inverte il cuore del messaggio evangelico: “Ama i tuoi nemici” diventa “scegli i tuoi nemici per sapere chi amare”. L’universalità del Vangelo viene sostituita da una strategia di dominio e separazione
4. La sfida per la Chiesa: discernere, non benedire
Che fare, allora? Non si tratta di scomunicare Thiel o Vance, né di demonizzare la tecnologia. Si tratta, piuttosto, di esercitare un serio discernimento ecclesiale.
La tecnologia, se orientata al bene comune e rispettosa della persona, è uno strumento potente per la giustizia, la salute, la pace. Ma se piegata a logiche neo-gnostiche o a teologie disincarnate della potenza, essa diventa idolatria.
Papa Francesco lo ha ricordato in Fratelli tutti: la tecnologia non può sostituire la saggezza, e non basta il progresso materiale per fondare la fraternità. In un mondo che costruisce droni per la difesa e algoritmi per la sorveglianza, il vero “evento” cristiano è ancora e sempre l’Incarnazione, non l’innovazione.
5. Il rischio di un “cattolicesimo tecnico”: fine o nuovo inizio?
Se il cattolicesimo si riduce a collante per élite digitali e arsenali etici, allora è stato definitivamente colonizzato. Ma se la Chiesa saprà recuperare la sua vocazione profetica, potrà ancora parlare al cuore di questa nuova epoca: non per competere, ma per convertire; non per benedire l’innovazione, ma per umanizzarla.
Come ricorda il sociologo Georg Simmel, solo nel campo religioso le energie individuali possono esprimersi senza entrare in concorrenza: “C’è posto per tutti nella casa di Dio”. Un’affermazione che vale oggi più che mai, quando l’umanità rischia di essere ridotta a codice e capitale.
Il tecnocapitalismo cerca nella religione una legittimazione; ma non tutto ciò che cerca Dio è degno del Vangelo. Il cattolicesimo non può diventare la religione di Stato della Silicon Valley. Esso è, piuttosto, la voce che grida nel deserto dell’algoritmo: sei più della tua efficienza, sei figlio di Dio, sei fratello degli altri.
La vera novità cristiana non è andare da zero a uno. È andare da me a noi. E da noi a Lui.