Di fronte all’escalation di violenza e all’orrore quotidiano nella Striscia di Gaza, l’Italia e l’Europa sembrano aver scelto la via di una prudente neutralità. Non basta più esprimere sdegno e dolore, occorre interrogarsi seriamente su cosa concretamente possa essere fatto per fermare questa spirale distruttiva.
Il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina potrebbe essere un passo decisivo, capace di rilanciare il processo di pace su basi concrete. Analogamente, la sospensione dell’Accordo di associazione tra Israele e l’Unione Europea rappresenterebbe un chiaro segnale politico per chiedere a Tel Aviv di fermare immediatamente la tragedia umanitaria in corso. La recente tragedia che ha colpito la chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, l’unica parrocchia cattolica presente nella Striscia, ha ulteriormente evidenziato la gravità della situazione. Il parroco, padre Gabriele Romanelli, di origine argentina, era in costante e quotidiano contatto con papa Francesco, che seguiva con grande preoccupazione la sorte della comunità. Padre Romanelli stesso è rimasto ferito nell’attacco ed è stato curato nell’ospedale al-Ahli di Gaza City. Questo episodio doloroso rende ancora più urgente una presa di posizione chiara e concreta da parte della comunità internazionale. Sarebbe infine opportuno rivedere con serietà e urgenza gli accordi militari bilaterali, come il Trattato-Memorandum che lega dal 2005 l’Italia ad Israele, per assicurare che nessun nostro supporto logistico contribuisca, anche indirettamente, alla violenza.
Il bombardamento recente della chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, che ha ferito diversi fedeli e suscitato sgomento anche nella comunità internazionale, dimostra tragicamente quanto nessun luogo sia al sicuro dal conflitto. Anche il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ha chiarito che si è trattato di un colpo di carro armato israeliano. Israele ha espresso dolore per l’accaduto, parlando di errore militare, ma resta l’urgente necessità di andare oltre le dichiarazioni e le inchieste formali.
Questa tragedia ha colpito anche altre comunità religiose: la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio e la Chiesa bizantina di Jabaliya, così come numerose moschee, sono state distrutte o gravemente danneggiate, evidenziando che nessun simbolo religioso o luogo di rifugio è stato risparmiato dalla violenza.
L’indignazione, però, non basta più. È tempo che l’Italia e l’Europa trasformino le loro parole in azioni diplomatiche e politiche coraggiose, dando prova di una responsabilità umana e morale capace di fermare questa immane tragedia. È un dovere imprescindibile per difendere la dignità umana e la giustizia, senza compromessi né silenzi.