Con l’annuncio ufficiale del prossimo riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della Francia, Emmanuel Macron ha compiuto un gesto dirompente sul piano simbolico e strategico. È il primo Paese del G7, e l’unico membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a riconoscere lo Stato palestinese prima di una soluzione negoziata tra le parti. Una decisione che rompe con la prudenza calcolata dell’Unione Europea, irrita Washington e Tel Aviv, e rischia di accentuare la spaccatura già evidente tra le capitali europee.

Un’inversione di paradigma: la pace come conseguenza del riconoscimento

Fino a ieri, la linea dominante in Europa era quella tedesca: il riconoscimento della Palestina deve giungere a valle di un processo negoziato, come sua conclusione. Macron ha rovesciato la prospettiva: nel contesto attuale, segnato da un blocco diplomatico e da una catastrofe umanitaria a Gaza, il riconoscimento diventa una condizione preliminare per avviare un nuovo percorso di pace. Un atto che vuole sottrarre il destino dei palestinesi all’arbitrio militare e ridare centralità al diritto internazionale.

Alla base della decisione c’è la lettera inviata a giugno dal presidente Abu Mazen e dall’erede saudita Mohammed bin Salman, con cui l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) si impegnava alla riforma della governance e alla demilitarizzazione di Gaza. Macron ha visto in questi impegni una base concreta per rilanciare il ruolo dell’Anp, oggi fortemente delegittimata ma ancora riconosciuta dalla comunità internazionale come unico interlocutore.

La Francia rompe il fronte europeo

L’iniziativa francese ha generato immediate tensioni. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha ribadito che Berlino «non intende riconoscere la Palestina nel breve termine». Il premier britannico Keir Starmer ha dichiarato che il Regno Unito lo farà solo nell’ambito di un accordo negoziato, deludendo 220 parlamentari laburisti e non, che chiedevano un’azione più rapida.

E l’Italia? La posizione della presidente Giorgia Meloni è chiara: «Favorevolissima allo Stato della Palestina», ma contraria a un riconoscimento “sulla carta”, che rischierebbe – secondo lei – di far sembrare risolto un problema che resta drammaticamente aperto. Un’argomentazione che riflette non solo una visione legalistica del processo di pace, ma anche una certa fedeltà strategica a Washington.

Non è un mistero, infatti, che l’Italia – come già nella crisi ucraina e nei dossier Cina e NATO – tenda a riposizionarsi in base alle coordinate della politica americana. E se oggi la Casa Bianca, sotto l’influenza dell’ala trumpiana, bolla il gesto di Macron come “sconsiderato”, Roma si allinea, consapevole dei rischi di isolamento, ma anche delle sue fragilità strutturali.

Lo sgarbo diplomatico: Roma esclusa

Che questa postura abbia un costo politico lo dimostra il recente episodio della telefonata d’emergenza tra Macron, Starmer e Merz sulla crisi umanitaria a Gaza. L’Italia non è stata inclusa, pare per esplicita volontà francese. E sebbene Londra – secondo alcune fonti – avesse proposto di coinvolgere anche Meloni, la partecipazione italiana sarebbe stata osteggiata da Parigi. Un segnale inequivocabile: il protagonismo diplomatico richiede scelte coraggiose, non solo equilibrio tattico.

La reazione israeliana: ira e retorica

Israele ha reagito con una valanga di accuse: Macron viene descritto come “amico dei terroristi”, la Francia come “resa a Hamas”. Netanyahu parla di “atto ostile”, mentre i ministri dell’estrema destra evocano il taglio dei rapporti diplomatici. I coloni, intanto, rispondono sul campo: a Ramallah, hanno interrotto l’erogazione idrica a decine di villaggi palestinesi, per “punire” il riconoscimento annunciato da Parigi.

Non sorprende che anche Donald Trump – in piena campagna di riconquista geopolitica – abbia deriso Macron: «Quello che dice non conta». Il segretario di Stato Marco Rubio ha definito la decisione “uno schiaffo alle vittime del 7 ottobre” e “un assist alla propaganda di Hamas”. L’ambasciatore americano in Israele, Mike Huckabee, si è spinto fino a proporre sarcasticamente la Costa Azzurra come sede del futuro Stato palestinese, ribattezzandolo “Franc-en-Stine”.

Ma quale Hamas? La Palestina è già riconosciuta da 147 Paesi

Queste reazioni ignorano che lo Stato di Palestina è già stato riconosciuto da 147 dei 193 Paesi membri dell’Onu, inclusi Irlanda, Spagna, Norvegia, Slovenia, Armenia, Brasile, Sudafrica e persino la Santa Sede (nel 2013). La proclamazione ufficiale risale al 1988, a opera dell’Olp guidata da Yasser Arafat. La Palestina è riconosciuta come Stato osservatore non membro dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 2012. Quella della Francia non è una follia unilaterale, ma l’allineamento a una realtà internazionale che gli equilibri euro-americani hanno finora congelato.

Gaza: tra la fame e la negazione

Intanto, a Gaza, il Programma Alimentare Mondiale denuncia che quasi mezzo milione di persone non ha accesso regolare al cibo. L’Unrwa parla di carestia imminente. L’Onu lancia appelli quotidiani. Ma il governo israeliano nega: secondo funzionari e media legati all’esecutivo, la fame a Gaza sarebbe una “campagna orchestrata da Hamas”. Addirittura, si ipotizza che alcuni bambini scheletrici soffrano di “malattie genetiche”.

Questa strategia della negazione, documentata anche da Haaretz, serve a silenziare l’empatia e a legittimare il protrarsi dell’operazione militare. Ma intanto, le bombe continuano a cadere. Scuole colpite, ospedali bloccati, adolescenti uccisi in Cisgiordania. La diplomazia tace, o balbetta.

Un gesto divisivo ma necessario

Macron ha rotto questa inerzia. Ha scelto di fare un passo, quando tutti aspettano che lo faccia qualcun altro. Certo, il rischio è di isolare Parigi all’interno dell’Ue e di irritare Washington. Ma il potere della diplomazia non è solo negoziare. È anche indicare una direzione. E oggi, davanti all’impunità armata, indicare la legittimità del popolo palestinese è un atto di verità.

Non basta più la retorica dei “due Stati”. Serve riconoscere che il primo esiste già, con esercito, confini mutevoli e sovranità forzata. E che il secondo, la Palestina, non nascerà mai se nessuno si assume il rischio politico di riconoscerlo.

L’Italia, oggi, appare prigioniera della sua prudenza. Ma la prudenza, in certi casi, è complicità. È non disturbare l’ordine ingiusto per paura di compromettersi.

La storia, però, è fatta da chi rompe l’equilibrio quando esso diventa immoralità. E su questo punto, piaccia o meno, Macron ha fatto politica.