Il Nobel a María Corina Machado è un errore pericoloso. Non porta pace, ma legittima tensioni e strategie d’intervento. Il Venezuela merita dialogo, non provocazioni.
C’è qualcosa di profondamente inquietante nell’idea di assegnare il Premio Nobel per la Pace a María Corina Machado, leader di una parte minoritaria e radicale dell’opposizione venezuelana. Inquietante, soprattutto per chi conosce bene — non dai salotti di Bruxelles o dagli studi TV di Miami, ma camminando per le strade di Caracas o parlando con la gente nei barrios — la realtà concreta del Venezuela e le trame che da anni lo attraversano.
La notizia, ventilata da alcuni ambienti come atto di “giustizia” internazionale, rischia di trasformarsi in una miccia accesa nel cuore di una situazione già estremamente delicata. È impossibile ignorare che tale riconoscimento, in questo momento storico, non è neutrale. In piena crisi diplomatica e navale con gli Stati Uniti, e con le tensioni ancora calde dopo le elezioni presidenziali del 2024, premiare la Machado significherebbe dare una patente morale a una strategia d’intervento esterno, giustificato da una retorica umanitaria.
Il ritorno del “presidente ad interim”?
Non sarebbe la prima volta. Lo abbiamo già visto con Juan Guaidó, nominato “presidente ad interim” dalla comunità internazionale senza alcun mandato elettorale, e beneficiario di una gestione opaca di miliardi di dollari sottratti alle casse pubbliche venezuelane, oggi comodamente amministrati dagli Stati Uniti. A questo punto ci si chiede: María Corina Machado sarà la prossima?
Chi, come me, ha vissuto e studiato da vicino le dinamiche bolivariane, sa che la sua figura è tutt’altro che unitaria o pacificatrice. Non è una leader dell’opposizione riconosciuta da tutto il campo anti-chavista, né si è mai posta in una prospettiva costruttiva o di confronto democratico. Non ha partecipato alle elezioni, non ha cercato il dialogo, ma ha spesso incoraggiato mobilitazioni di piazza sfociate in violenza, contribuendo a radicalizzare lo scontro. I 27 morti del 2024 gridano ancora giustizia. Non ha sparato lei, certo. Ma è da lei che sono partite le parole d’ordine e la retorica che ha legittimato la tensione e lo scontro.
Opposizione democratica o dispositivo paramilitare?
Occorre smontare la narrazione che la descrive come “la leader dell’opposizione venezuelana”. In realtà, l’opposizione vera in Venezuela partecipa alle elezioni, si confronta nelle sedi istituzionali, firma accordi con la mediazione internazionale. María Corina Machado non rappresenta questo fronte. È la punta simbolica e mediatica di un apparato esterno, paramilitare, mediatico e finanziario, che ha come obiettivo non il cambiamento democratico, ma la destabilizzazione del Paese a beneficio degli interessi geopolitici statunitensi.
Assegnarle il Nobel sarebbe come riconoscere a una strategia di logoramento e sabotaggio la legittimità di un percorso democratico. Sarebbe come dire che la pace si costruisce con le provocazioni, gli assalti, le pressioni internazionali e le sanzioni economiche che strangolano un popolo.
Un premio che non porta pace
La domanda vera, e urgente, è: un premio simile porta davvero pace, giustizia, riconciliazione? Oppure rischia di infiammare le tensioni, alimentare retoriche interventiste e fornire un nuovo pretesto per giustificare escalation militari o “missioni umanitarie”?
Il Venezuela oggi ha bisogno di dialogo, non di icone da esportazione, di riconciliazione interna, non di nuove divisioni imposte da agende esterne. La vera opposizione non è quella dei proclami, ma quella che costruisce scuole, che si confronta con le urne, che ascolta le comunità. Lavoro molto in Venezuela, lo vedo con i miei occhi: ci sono voci critiche, anche forti, ma che rifiutano le scorciatoie violente e le ingerenze straniere.
Contro la pace mediatica, per la pace reale
Il Nobel alla Machado sarebbe un atto politico, non un gesto per la pace. Un premio che, invece di favorire un futuro di convivenza, premia una retorica divisiva e pericolosa. Un riconoscimento che rischia di delegittimare ogni sforzo di mediazione, proprio mentre si moltiplicano gli appelli alla distensione e al rispetto della sovranità venezuelana, compreso quello — recente — del presidente Maduro a Papa Leone XIV.
In un tempo in cui la pace viene spesso manipolata come slogan, è nostro dovere denunciare gli applausi sbagliati. Anche a costo di essere voce fuori dal coro.