In Siria non sono stati colpiti soltanto i corpi, le case e le città. La guerra ha spezzato i legami più sacri: quelli tra genitori e figli. Una delle eredità più oscure del regime di Bashar al-Assad, oggi emersa con più chiarezza dopo la sua caduta, riguarda i bambini strappati alle famiglie dei detenuti politici e nascosti negli orfanotrofi.
Molti piccoli, arrestati insieme ai genitori ai posti di blocco o cresciuti nei sotterranei delle prigioni, sono stati separati e trasferiti in strutture statali o in case-famiglia sotto diretto controllo dei servizi segreti. Alcuni hanno visto cambiata la loro identità, altri sono stati consegnati ad adozioni forzate. Non pochi hanno perso persino la memoria dei propri nomi e radici.
Il paradosso drammatico è che tutto ciò è avvenuto in un silenzio quasi totale: per anni, mentre il mondo si indignava – giustamente – per le stragi di civili, i bombardamenti indiscriminati e l’uso di armi chimiche, le voci sui bambini “scomparsi” restavano flebili. Solo oggi si comprendono le dimensioni di questa ferita: centinaia, forse migliaia di minori sottratti alle famiglie, ridotti a numeri o identità fittizie, trattati come strumenti di propaganda o come merce di scambio.
La questione non riguarda solo la memoria di un regime caduto, ma il futuro della Siria. Una nazione che perde i propri figli, che cancella i loro nomi, è una nazione ferita nella sua stessa anima. La giustizia non potrà consistere soltanto in processi e condanne: sarà necessaria un’opera di ricostruzione della memoria, di ricongiungimento familiare, di guarigione interiore e collettiva.
C’è un risvolto che tocca da vicino anche noi: il rischio dell’indifferenza. L’Europa ha seguito con attenzione le vicende dei profughi siriani sulle nostre coste, ma meno il destino dei bambini rimasti dietro le sbarre o consegnati a un’identità falsificata. Eppure la nostra coscienza cristiana ci ricorda che ogni piccolo porta un nome scritto nel cuore di Dio, che nessun potere può cancellare.
Questi bambini non sono “orfani di guerra”, ma figli di famiglie spezzate. Il loro diritto primario non è stato rispettato: crescere accanto a un padre e a una madre. Ritrovare i loro nomi, restituire loro le radici, ricongiungerli ai parenti ancora in vita è oggi un imperativo morale per la comunità internazionale, per le organizzazioni umanitarie e per le Chiese.
“Non dimenticare il tuo nome”, disse una madre a sua figlia prima che le venissero portate via. Questa frase, che riecheggia come un testamento, è anche un monito a tutti noi: non dimenticare il nome di chi è stato strappato, non lasciar cadere nell’oblio i volti dei più piccoli. La Siria non potrà rinascere davvero finché i suoi bambini non saranno restituiti alla loro verità, e noi con essa non potremo dirci innocenti se continueremo a distogliere lo sguardo.
Complimenti al Direttore per un settimanale on line sempre più ricco e intéressante !
Con la stampa che abbiamo , con i giornaloni impegnati sempre più nella propaganda a favore dei loro padroni , e anche con i TV giornali anch’essi “ venduti “ Mediafighter e’ una fonte credibile e affidabile !
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Complimenti Direttore !
A Lei e ai suoi redattori !