«Se parliamo di narcotraffico è l’ultimo Paese di cui occuparsi» 

«Se dobbiamo parlare di narcotraffico, il Venezuela è l’ultimo Paese di cui dovremmo occuparci».
Con questa affermazione netta e priva di ambiguità, il procuratore Nicola Gratteri interviene nel dibattito internazionale sulle rotte della droga, demolendo una delle narrazioni più ricorrenti degli ultimi anni, che indicano Caracas come epicentro del traffico globale di cocaina.

Nel breve intervento diffuso sui social, Gratteri richiama l’attenzione su un dato elementare ma spesso rimosso dal discorso pubblico: la droga va cercata dove si produce, non dove conviene politicamente indicarla.
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«La cocaina non nasce in Venezuela», spiega il magistrato. «La coca si coltiva in Colombia, in Perù, in Bolivia. È lì che bisogna guardare se si vuole davvero contrastare il narcotraffico».

Parole che pesano, perché pronunciate da uno dei magistrati che più a lungo ha studiato e colpito le connessioni tra ’ndrangheta e traffico internazionale di stupefacenti, seguendo direttamente le rotte che portano la cocaina dal Sud America ai porti europei.

Gratteri non nega che il Venezuela possa essere, in alcuni casi, Paese di transito, come lo sono molti altri Stati della regione. Ma ribalta l’impostazione dominante: «Se un Paese non produce droga, non può essere il centro del problema. Al massimo è un corridoio, come ce ne sono tanti».

Il senso dell’intervento è chiaro: concentrare l’attenzione politica, mediatica e persino militare sul Venezuela non risponde a criteri di efficacia nella lotta al narcotraffico, ma piuttosto a logiche geopolitiche estranee alla reale dinamica criminale.

«Se vogliamo essere seri», sottolinea Gratteri, «dobbiamo intervenire dove la droga viene coltivata, raffinata, trasformata in business. Tutto il resto è propaganda».

Il magistrato mette così in discussione l’uso strumentale del tema droga come giustificazione di pressioni internazionali, sanzioni o operazioni di forza, ricordando che la criminalità organizzata globale si muove seguendo criteri economici, non ideologici.

Il messaggio, asciutto e diretto, è anche un monito alla politica e ai media occidentali: confondere il narcotraffico con lo scontro geopolitico significa perdere di vista il nemico reale e, di fatto, favorirne la sopravvivenza.

Ancora una volta, Gratteri riporta il dibattito sul terreno dei fatti e dell’esperienza investigativa, opponendo alla semplificazione ideologica la concretezza di chi il narcotraffico lo combatte sul campo, da decenni.