Un’indagine smentisce i luoghi comuni: non è una svolta conservatrice, ma una riscoperta del cuore della fede.
Una nuova generazione di sacerdoti sta emergendo nella Chiesa statunitense. Non è un semplice cambio d’età, ma un cambio di accento teologico e pastorale. Lo mostra il 2025 National Study of Catholic Priests, un’ampia indagine condotta dalla Catholic University of America, che ha confrontato la visione teologica e le priorità pastorali di oltre 3.500 presbiteri di diverse generazioni.
Il dato che colpisce di più è la curva inversa tra “progressisti” e “ortodossi”: più del 70% dei sacerdoti ordinati prima del 1975 si definisce teologicamente progressista, mentre tra i giovani ordinati dopo il 2010 la percentuale crolla all’8%. Al contrario, oltre il 70% dei nuovi preti si descrive come “ortodosso” o “molto ortodosso”, con solo uno su cinque che si dice “moderato”.
Dietro le cifre, però, non c’è un ritorno alla “restaurazione”, ma un ritorno alle sorgenti.
Il cuore della vita cattolica
L’88% dei giovani sacerdoti considera prioritaria la devozione all’Eucaristia, rispetto al 57% dei loro confratelli più anziani. Per i preti ordinati prima del 1980, invece, i temi dominanti restano la giustizia sociale, la lotta alla povertà, il razzismo e l’immigrazione.
Non si tratta di due visioni contrapposte, ma di due punti di partenza differenti. Se la generazione post-conciliare ha vissuto la spinta missionaria del Vangelo sociale, i giovani presbiteri – spesso formatisi in un contesto secolarizzato e frammentato – tendono a ripartire dall’essenziale: la liturgia, la preghiera, il sacramento.
Non per disinteresse verso il mondo, ma per convinzione che la trasformazione evangelica cominci dall’altare. È un ritorno al centro eucaristico come “sorgente e culmine” della vita cristiana (cf. Sacrosanctum Concilium, 10).
Non sono “tradizionalisti“
Un dato sfata un cliché mediatico: solo il 39% dei giovani sacerdoti ritiene prioritario l’uso della Messa in latino. La maggioranza (60%) non la considera una priorità. Eppure, quasi l’80% pone al primo posto l’impegno per i poveri, in linea con l’ultima enciclica di Leone XIV e con l’attenzione di Papa Francesco alla dimensione sociale della fede.
Questo equilibrio tra adorazione e carità, culto e servizio, smentisce la caricatura di un clero giovane “chiuso” o “reazionario”. Semmai, mostra una generazione che ha imparato a evitare la tentazione dell’attivismo e a ritrovare nel mistero eucaristico la forza per agire nel mondo.
L’unico punto che desta interrogativi è la scarsa importanza attribuita alla sinodalità (solo il 29% la ritiene prioritaria). Forse non per rifiuto, ma per un deficit di comprensione: il rischio è di percepirla come un processo amministrativo, non come uno stile spirituale di comunione e corresponsabilità.
Oltre la polarizzazione politica
Molti commentatori, soprattutto statunitensi, hanno interpretato i risultati dello studio come una “svolta conservatrice” del clero. Ma l’equazione “ortodosso = conservatore” è un errore di prospettiva.
Gli stessi ricercatori sottolineano che la fedeltà alla dottrina non coincide con l’appartenenza a uno schieramento politico. Lo dimostra il fatto che il 66% dei sacerdoti “molto ortodossi” e l’83% di quelli “ortodossi” si sono detti preoccupati per le politiche dell’amministrazione Trump. Inoltre, il 74% dei giovani preti considera prioritario l’aiuto ai migranti e ai rifugiati.
Questo smonta la narrazione semplicistica che divide la Chiesa in “destra” e “sinistra”. L’ortodossia, in realtà, non è ideologia: è adesione integrale alla fede, capace di coniugare il culto con la compassione, la verità con la misericordia.
La questione della “sintonia”
Un altro nodo sollevato dallo studio riguarda il possibile scarto tra i giovani sacerdoti e i loro coetanei laici, spesso più “riformisti” sui temi della sessualità, del celibato e dell’ordinazione femminile. Ma qui si impone una domanda scomoda: di quali giovani cattolici stiamo parlando?
Le ricerche del Pew Research Center mostrano che i giovani realmente praticanti, cioè coloro che partecipano alla Messa e vivono i sacramenti, condividono in larga parte la stessa visione teologica dei nuovi sacerdoti. È tra i “cattolici nominali” – quelli che si definiscono tali solo per cultura o tradizione – che emergono posizioni più lontane dal magistero.
Un ritorno alle origini
In sintesi, più che di un’inversione conservatrice, si tratta di un riorientamento spirituale. I giovani sacerdoti americani non vogliono rifare il passato, ma ricominciare dal principio: dalla centralità dell’Eucaristia, dalla vita interiore, dal primato di Dio.
In un mondo che misura tutto in termini di efficacia sociale o consenso politico, questa scelta può apparire controcorrente. Ma forse è proprio il segno di una Chiesa che sta tornando ad essere “segno e strumento di intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1).
Perché, come ricordava Benedetto XVI, “l’impegno per la giustizia nasce dall’Eucaristia: solo chi riconosce Cristo presente sull’altare sa riconoscerlo anche nel volto del povero”.
