Tor Vergata, Roma e Assisi: una giovinezza riconciliata che sogna la pace

Roma è diventata, in questi giorni, il volto giovane della Chiesa. I marciapiedi dell’Urbe sono tappeti di zaini e passi stanchi ma felici. Le bandiere d’Africa e d’America si confondono con le chitarre e i canti spontanei. Il caldo agostano non spegne l’entusiasmo. Le lingue si mischiano, ma la lingua della fede è la stessa. La chiamano “la gioventù del Papa” e non è uno slogan: è una Chiesa viva, che cammina, che si inginocchia, che perdona. E che soprattutto non ha paura di sperare.

Una gioventù che non si fotografa soltanto

Papa Leone XIV lo ha detto chiaramente incontrando una delegazione del Perù: il Giubileo “non deve restare una foto da ricordare, ma una gioia da condividere”. È il rischio di ogni evento ecclesiale: consumarlo in superficie. Ma questa gioventù, quella che riempie Tor Vergata, che ha riempito San Pietro e i confessionali del primo venerdì del mese, che andrà ad Assisi per il Perdono francescano, non è venuta per selfie. È venuta per cercare Dio. E, in molti casi, lo ha trovato nel segreto di una confessione, nel silenzio di un’adorazione, nel pianto liberato da una notte di preghiera.

Il grande ritorno della riconciliazione

Tra i segni più forti di questo Giubileo, c’è la riscoperta del sacramento della Riconciliazione. Venerdì 1° agosto, primo venerdì del mese, migliaia di ragazzi hanno fatto la fila per confessarsi, anche per ore. Alcuni non si confessavano da anni. Per molti è stato il momento più intenso, più ancora della Messa o della veglia. Il Papa aveva indicato questo Giubileo come anno della speranza, ma è la misericordia il cuore pulsante di ogni speranza cristiana.

E proprio nella sera di sabato 2 agosto, mentre i giovani si preparano alla veglia finale, la Chiesa celebra il Perdono di Assisi: la straordinaria indulgenza che San Francesco ottenne per tutti, specialmente per i piccoli. Il legame spirituale tra Roma e Assisi, tra Pietro e Francesco, tra Giubileo e perdono, è un fiume di grazia che attraversa i cuori e rigenera la vita.

Dall’Ucraina a Nazareth: la speranza è più forte della guerra

A Tor Vergata non ci sono solo giovani “da pastorale”, ma anche sopravvissuti alla guerra. Vengono dall’Ucraina, dove i bombardamenti continuano ogni giorno. Hanno viaggiato tra droni, check-point e paura. Ma sono arrivati. Monsignor Ryabukha, esarca greco-cattolico di Donetsk, li accompagna: “Per loro, questo è il respiro della vita, un tempo per scoprire che esiste ancora la dignità, che Dio è vicino”.

Anche i giovani della Terra Santa, impossibilitati a partire, hanno unito spiritualmente il loro cuore alla veglia romana. Dalle pietre vive di Nazareth e Betlemme, la preghiera si fa intercessione. Maria Andréia e Marcelo Paulo, della Comunità Shalom, vivono questa comunione da lontano, restando con chi soffre. Pregano per la pace in Medio Oriente, offrono la loro vita per essere segno. “È bello sapere – dice Maria – che il nostro stare con Gesù, anche nel dolore, parla a tutta la Chiesa”.

La notte delle lacrime e della risurrezione

Tor Vergata è anche il luogo della croce. La morte improvvisa della giovane egiziana Pascale Rafic, 18 anni, ha sconvolto i compagni di pellegrinaggio. Papa Leone XIV ha voluto incontrarli: “La nostra fede non è superficiale – ha detto – ma affonda nella risurrezione. Il dolore non ci deve dividere, ma unire. Pascale è nel cuore di Cristo”. È stata la veglia del dolore che si trasfigura, la notte in cui il lutto si è unito alla speranza.

Una generazione che osa credere

Nel cuore della notte, sotto le stelle di Tor Vergata, migliaia di giovani hanno dormito per terra. Non era un concerto. Era la Chiesa in veglia, in ascolto, in attesa. Una generazione spesso accusata di essere narcisista, fragile, liquida… e invece capace di inginocchiarsi, di cantare il Magnificat, di prendere sul serio il Vangelo.

Sono la meglio gioventù di Leone XIV: non quella perfetta, ma quella vera. Ferita ma in piedi. Smarrita ma alla ricerca. Fragile ma capace di chiedere perdono. E soprattutto, capace di riconoscere il passaggio di Dio nel cuore della Storia.

La speranza non delude

A Roma, in questi giorni, la speranza ha preso corpo. Ha il volto delle ragazze che danzano sotto il sole, dei ragazzi che piangono davanti a un confessionale, dei pellegrini di guerra che raccontano la fede come unica resistenza. E anche del Papa, che non smette di incoraggiarli: “Chiedete nel mio nome, e otterrete, perché la vostra gioia sia piena”.

Nel tempo della paura e del cinismo, questo Giubileo dei giovani è la prova che la Chiesa non è finita, che la fede non è morta, che la santità è possibile. E che i giovani sono ancora capaci di donarsi totalmente, se incontrano Qualcuno per cui vale la pena vivere e morire.