Vent’anni fa la Georgia era il simbolo della speranza. La “Rivoluzione delle Rose” aveva spazzato via un regime corrotto e dato vita a un esperimento democratico che attirava applausi dalle piazze di Tbilisi fino a Washington. Mikheil Saakashvili, giovane e carismatico presidente, prometteva riforme, apertura all’Occidente, lotta alla corruzione. La Georgia era presentata come “faro di libertà” nel Caucaso.

Oggi quella speranza appare consumata. Il paese che un tempo sognava l’Europa e la NATO vive un lento scivolamento verso l’autocrazia. Il partito Georgian Dream, fondato e controllato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, ha concentrato il potere, limitato l’opposizione e approvato leggi che riecheggiano quelle introdotte da Vladimir Putin per zittire media indipendenti e organizzazioni civiche. A farne le spese è stata innanzitutto la democrazia: elezioni contestate, pluralismo ridotto, e un’opposizione che, pur radicata nella società, è sempre più marginalizzata.

La parabola della Georgia è emblematica: un paese che si percepisce profondamente europeo, segnato da guerre di secessione e ferite mai rimarginate, e che tuttavia rischia di diventare ostaggio della paura di un nuovo conflitto con la Russia. La promessa di pace è stata trasformata in strumento di consenso politico: il timore di una guerra viene agitato per giustificare l’erosione delle libertà.

La contraddizione più evidente è proprio questa: una nazione che nella sua Costituzione afferma la volontà di aderire all’UE, ma che nel concreto smantella gli standard minimi richiesti per farne parte. La retorica ufficiale oscilla tra proclami di europeismo e misure che isolano la società civile, alimentando una politica fatta di sospetti e di nemici interni.

Il rischio è che la Georgia, nel nome della stabilità, scivoli verso un’autarchia che la allontana non solo dall’Europa, ma anche dalle stesse aspirazioni della sua popolazione. La piazza continua a resistere, ma le voci critiche vengono schiacciate da un sistema che si alimenta della logica del “noi o il caos”.

La domanda allora è se il sogno europeo della Georgia sia definitivamente tramontato o se, come spesso accade nella sua storia tormentata, dalle ferite possa rinascere la spinta per un nuovo ciclo di libertà. Quel che è certo è che oggi la Georgia si trova davanti a un bivio: restare faro di democrazia nel Caucaso o diventare l’ennesimo avamposto di autoritarismo.