Donald Trump lo ha definito «un giorno storico per la pace in Medio Oriente». Ma la realtà, mentre si annunciano i 21 punti del nuovo piano americano, continua a smentire l’enfasi presidenziale: 72 palestinesi uccisi solo ieri, 48 dei quali a Gaza City. Le macerie parlano più forte dei comunicati.

Il piano, discusso con Netanyahu alla Casa Bianca, prevede tregua, rilascio degli ostaggi, amnistie per chi depone le armi, creazione di una Gaza International Transitional Authority guidata da Tony Blair e, in prospettiva, un futuro Stato palestinese. Ma lo stesso premier israeliano, pur accettandone i principi, ha ribadito che Israele manterrà il controllo del perimetro e della sicurezza della Striscia. Una contraddizione evidente: come costruire uno Stato sovrano se la sua libertà è condizionata dall’esterno?

La reazione di Hamas è stata netta: rifiuto della proposta e soprattutto del nome di Blair, giudicato “inaccettabile”. A confermare la distanza tra l’annuncio politico e la realtà dei negoziati.

Eppure, dietro le dichiarazioni di facciata, un segnale diplomatico c’è stato: Netanyahu ha chiesto scusa al Qatar per l’attacco condotto il 9 settembre contro esponenti di Hamas a Doha, assicurando all’emiro di non ripetere violazioni della sovranità. Un gesto sorprendente, e forse rivelatore, perché indica che Israele, pur mantenendo toni di forza, sa di non poter fare a meno della mediazione di Doha se davvero vuole che Hamas accetti anche solo di discutere.

Ma la domanda resta: pace o propaganda? Trump, che aveva promesso di “risolvere Gaza dal primo giorno”, ha bisogno di un successo diplomatico da esibire in campagna elettorale, tanto più ora che l’Ucraina appare lontana da ogni soluzione. Netanyahu, a sua volta, ha bisogno di mostrare al mondo e al suo elettorato di non cedere, pur aprendo qualche spiraglio per non perdere l’appoggio americano.

La pace vera, però, non nasce da scuse tardive o da piani calati dall’alto, ma da un riconoscimento reciproco dei diritti. Senza giustizia per i palestinesi e sicurezza reale per gli israeliani, ogni road map rischia di diventare l’ennesima illusione. E la “Riviera di Gaza” promessa da Trump può facilmente trasformarsi, ancora una volta, nell’incubo di un popolo che continua a vivere da esiliato nella propria terra.