A Gaza si muore anche per un pacco di farina. Non solo per le bombe, ma per fame, per sete, per un pezzo di pane che diventa trappola. Mentre i droni annunciano «nessun aiuto oggi, tornate a casa», la dignità umana viene calpestata ogni giorno, sotto gli occhi del mondo. È tempo che la coscienza cristiana dica basta a questa crudeltà disumana.

Il pane che non arriva. Il pane che si cerca camminando per ore, col cuore in gola, tra le rovine, e che si trova, se si trova, dentro un pacco sorvegliato da cecchini. A Gaza si muore per un pugno di lenticchie, per un litro d’olio, per un pacco che dovrebbe nutrire e invece ferisce. Si muore di fame, si muore di paura, si muore senza nome sotto le macerie, si muore anche quando si è sopravvissuti. Il messaggio consegnato dai droni israeliani – «nessun aiuto oggi, tornate a casa» – è il nuovo volto della crudeltà moderna, un’arma psicologica che usa la voce dei bambini e i latrati dei cani per schiacciare l’anima prima ancora del corpo.

In un mondo che si dice civile, questo è inaccettabile. E come credenti in Cristo crocifisso e risorto, noi di Pax Christi non possiamo tacere.

Abbiamo visto nel corso dei secoli l’umanità cadere nel baratro quando la ragione viene oscurata dalla paura e l’altro è ridotto a nemico da annientare. Ma abbiamo anche visto uomini e donne restare umani nel cuore dell’orrore, condividere il pane, dire un «no» disarmato alla violenza, difendere la dignità là dove tutto sembrava perduto. È tempo che la coscienza mondiale si ridesti, non con proclami ideologici o schieramenti ciechi, ma con la compassione operosa che nasce dalla giustizia.

Papa Francesco ci ha insegnato a chiamare per nome la cultura dello scarto, e Leone XIV, nel solco del suo predecessore, ha ricordato appena pochi giorni fa che «la pace comincia dallo sguardo delle vittime». Dov’è lo sguardo d’Europa davanti ai 54.000 corpi? Dove sono le lacrime davanti a bambini fatti evaporare sotto le bombe, ai corpi dispersi, ai pacchi vuoti?

La Dottrina sociale della Chiesa è chiara: «La difesa e la promozione dei diritti umani non dipendono dai poteri di turno» (Compendio DSC, n. 388). E Giovanni Paolo II ci ha ammonito che «una pace che non si fonda sulla giustizia e sulla solidarietà è una pace fittizia» (Centesimus Annus, 18). Oggi più che mai queste parole risuonano come profezia.

Benedetto XVI scriveva in Caritas in Veritate (n. 67): «L’aiuto umanitario, anche quando è necessario e urgente, non può sostituirsi alla giustizia». Ma a Gaza oggi viene negato perfino l’aiuto umanitario, trasformato in arma, in umiliazione, in trappola. I pacchi alimentari, confezionati come pietà e venduti come propaganda, sono protetti da filo spinato e da pallottole. Un paradosso crudele che ferisce la dignità e insulta il Vangelo.

Non possiamo restare in silenzio. Il “no” della Chiesa alla violenza non è mai neutrale: è un grido che si fa preghiera e azione. Chiediamo, come corpo ecclesiale, un cessate il fuoco immediato, l’apertura piena e senza condizioni dei corridoi umanitari, la restituzione della dignità a chi oggi vive tra fame, esilio e assedio.

Gesù ha avuto fame, e nessuno gli ha dato da mangiare (cf. Mt 25,42). Il suo volto oggi è quello delle madri in fila a Tal el-Sultan, dei bambini colpiti a Khan Younis, dei contadini respinti in Cisgiordania. È il volto della giustizia crocifissa.

È tempo di dire basta. Basta con la logica del nemico. Basta con l’uso della fame come arma. Basta con la distruzione sistematica di un popolo. La sicurezza non si costruisce sul controllo, ma sulla giustizia. La pace non nasce dall’obbedienza, ma dalla partecipazione. La libertà non fiorisce nell’oppressione, ma nel riconoscimento reciproco.

Pax Christi, nel nome di Cristo principe della pace, si unisce al grido delle vittime, con compassione, con speranza, con determinazione. Che ogni comunità cristiana diventi rifugio di verità, laboratorio di pace, voce profetica.

Perché il pane, almeno il pane, non diventi un pretesto per uccidere. Ma torni a essere ciò che è: simbolo di vita, segno di comunione.