Gaza viene rasa al suolo mentre il mondo guarda altrove. Netanyahu usa la guerra per sfuggire ai suoi processi, gli Stati Uniti lo coprono e l’Europa resta insignificante. Intanto crescono solo le macerie e l’odio.

Non servono molte parole per descrivere quello che accade oggi a Gaza: una città ridotta in macerie, un popolo condannato alla fame e al terrore, ostaggi israeliani che rischiano la vita sotto le stesse bombe che dovrebbero liberarli. Hamas, che usa la popolazione come scudo umano, sopravvivrà con parte dei suoi quadri militari, mentre a morire sono i civili: donne, bambini, famiglie intere. È la spirale cieca di una violenza che alimenta soltanto l’odio.

Eppure, Netanyahu insiste. Mentre si presenta in tribunale, chiede di essere esonerato dalle udienze: “cose importanti stanno accadendo”, dice, alludendo all’“operazione intensiva” su Gaza City. Ma è chiaro che la vera posta in gioco è un’altra: sfuggire al processo. Un Paese intero viene sacrificato sull’altare della carriera politica e della sopravvivenza giudiziaria di un leader. Una vergogna.

Complicità e silenzi

Gli Stati Uniti restano complici, continuando a fornire copertura politica e militare. L’Europa si limita a “condanne verbali” o a dichiarazioni di circostanza, mentre la carneficina continua. L’unico atto concreto è arrivato dalla Spagna, che ha interrotto le forniture di armi: un gesto coraggioso che dovrebbe essere imitato, se davvero si vuole fermare la logica dello sterminio.

Intanto, a Doha, si è riunito un fronte islamico senza precedenti, dalla Turchia al Pakistan: segno che la guerra a Gaza rischia di incendiare l’intero mondo musulmano. Non si va da nessuna parte, perché la linea israeliana è solo militare, mentre la diplomazia resta prigioniera di calcoli di potere.

Genocidio annunciato

La Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite è chiara: ciò che avviene a Gaza è genocidio, con l’intento di distruggere un popolo. Le immagini che arrivano dagli ospedali parlano da sole: bambini insanguinati portati via in lenzuoli bianchi, madri disperate, padri che scavano a mani nude sotto le macerie. Le cifre cambiano ogni giorno, ma il bilancio è sempre lo stesso: morte e distruzione.

Il ministro della Difesa Katz lo dice senza veli: “Gaza sta bruciando”. Non è un linguaggio da democrazia, è la confessione di un progetto di annientamento.

Il dovere dell’Europa e della Chiesa

“Delenda Carthago”: così Catone ripeteva nel Senato romano, fino a convincere Roma a radere al suolo la città nemica. Oggi sembra che lo stesso grido sia stato adottato per Gaza. Ma la lezione della storia è amara: la distruzione di un popolo non porta mai alla pace, ma solo a nuovi odi.

L’Europa non può restare insignificante. Non bastano ispezioni, richiami di ambasciatori o parole di condanna. Serve il coraggio di interrompere rapporti commerciali e soprattutto il commercio delle armi. Serve dire “basta” con atti concreti.

La comunità cristiana, che guarda a Terra Santa come culla della fede, ha una responsabilità speciale: non tacere. Non difendere l’indifendibile. Non chiamare sicurezza ciò che è solo vendetta.

Gaza rasa al suolo non sarà la vittoria di Israele. Sarà la sua sconfitta morale e politica, e getterà benzina sul fuoco di una regione già lacerata. Moriranno innocenti, moriranno ostaggi, moriranno ragazzi che avrebbero potuto essere il futuro. Hamas sopravviverà comunque, e con esso la rabbia di milioni di persone.

Quando la logica del potere divora il diritto e la dignità umana, la voce della coscienza deve farsi sentire: non con nuove armi, ma con il coraggio di dire basta.