Da Barcellona sono salpati in duecento, provenienti da 44 Paesi, con un unico obiettivo: portare aiuti a Gaza e rompere il muro di un blocco che da anni soffoca la vita di milioni di civili. La “Global Sumud Flotilla” – il termine arabo sumud significa “resilienza”, “perseveranza” – è l’ultima, e la più imponente, delle iniziative civili che dal 2008 tentano di aprire un corridoio umanitario verso la Striscia. Una missione che, secondo gli organizzatori, diventerà “la più grande flottiglia della storia”, con oltre 60 imbarcazioni e più di 500 persone a bordo quando si aggiungeranno altri convogli da Tunisia e Italia.

Non è la prima volta. Già in passato queste missioni hanno trovato davanti a sé la barriera delle acque territoriali israeliane e, in alcuni casi, l’intervento violento delle forze armate. Resta nella memoria la tragedia del 2010, quando dieci attivisti persero la vita sull’Mavi Marmara. Da allora, ogni partenza porta con sé il rischio di nuove tensioni, ma anche la forza di una testimonianza che non si piega alla paura.

A bordo non ci sono solo attivisti noti come Greta Thunberg o personalità politiche di vari Paesi. Ci sono chirurghi, giornalisti, volontari, giovani e anziani uniti da una convinzione: la dignità umana non può essere murata dietro un embargo. “Free Palestine” gridavano al porto di Barcellona, e l’eco si è diffusa tra le centinaia di persone accorse a salutare la partenza.

La flottiglia porta medicine, generi di prima necessità, ma soprattutto porta un messaggio: la comunità internazionale non può rassegnarsi a considerare normale la distruzione quotidiana di Gaza. L’indifferenza, come ha detto Thunberg, è il vero scandalo: «Il genocidio è sotto i nostri occhi, nei telefoni che scorriamo ogni giorno, eppure il mondo finge che nulla accada».

Gli equipaggi sono stati formati in settimane di preparazione, con esercitazioni, consulenze legali e un impegno assoluto alla non violenza. Non ci saranno reazioni armate, nemmeno in caso di nuove intercettazioni. È una scelta di coerenza evangelica: testimoniare la pace anche quando si affronta l’ostilità.

Questa “armata pacifica” non risolverà il conflitto israelo-palestinese. Ma accende i riflettori là dove troppi preferiscono spegnerli. Ogni vela che solca il Mediterraneo in direzione Gaza è un richiamo alla coscienza mondiale: la pace non si costruisce con i muri e con gli assedi, ma con l’apertura di varchi, umanitari e politici.

Il Mediterraneo che oggi vede incrociarsi guerre, traffici e disperazioni, diventa così anche spazio di speranza. Una speranza fragile e ostinata, che si affida alla sumud, alla perseveranza di chi crede che la dignità di un popolo non sia negoziabile.

È questa la lezione che la flottiglia consegna a tutti: i blocchi possono fermare le navi, ma non il vento che le spinge.