Hulileh come governatore di larghe intese Israele-Hamas
Mentre la Striscia continua a essere teatro di bombardamenti, fame e disperazione, nelle stanze della politica e della diplomazia si discute di un nome che, per molti, potrebbe incarnare un fragile ma possibile equilibrio per il futuro di Gaza. Si tratta di Samir Halilah, imprenditore palestinese con un passato istituzionale e radicati contatti nel mondo arabo e internazionale.
Secondo ricostruzioni giornalistiche, la sua candidatura a una sorta di “governatore” della Striscia circola da oltre un anno e mezzo, ed avrebbe ottenuto il via libera non solo di attori regionali e della Lega Araba, ma anche di Hamas, oltre a un’accettazione di principio da parte di Israele e Stati Uniti. Un profilo tecnico, più che politico, che si muoverebbe sotto la supervisione di un comitato di sei membri della Lega Araba (Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Emirati, Anp e Qatar), incaricato di garantire la sicurezza, gestire gli affari civili e avviare la ricostruzione.
La prospettiva è chiara: cessazione delle ostilità, ritiro delle forze israeliane, ingresso di contingenti arabi a garanzia della sicurezza e un piano di ricostruzione che includa il ripristino dei varchi commerciali, l’incremento degli aiuti umanitari e il coinvolgimento finanziario dei Paesi del Golfo, con il sostegno di Stati Uniti e Unione Europea.
Questa ipotesi, pur non esente da incognite politiche e dal rischio di essere bruciata da fughe di notizie pilotate, segna un punto: non si parla di spartizione militare del territorio, ma di un tentativo di gestione civile condivisa, affidata a una figura che conosce sia il linguaggio degli affari sia quello della politica internazionale.
Ma mentre si discute di piani e di nomi, la cronaca umanitaria resta drammatica: secondo i dati del Programma Alimentare Mondiale e della FAO, oltre 300.000 bambini sono a rischio grave di malnutrizione, con un collasso quasi totale della produzione alimentare locale. In un solo giorno sono stati registrati cinque nuovi decessi per fame, tra cui due bambini. È l’istantanea più chiara di un’emergenza che non aspetta la fine dei negoziati.
E non meno eloquente è il segnale che arriva da Israele, dove una parte dell’opposizione ha raccolto la richiesta delle famiglie degli ostaggi di indire uno sciopero di solidarietà. Un gesto che, al di là delle appartenenze politiche, ricorda che il dramma di Gaza e quello degli ostaggi sono due facce della stessa tragedia, e che non può esserci pace vera se non si restituisce dignità e sicurezza a tutti.
La figura di Halilah, e di chiunque possa assumere un ruolo simile, sarà credibile solo se accompagnata da garanzie concrete: protezione internazionale, rispetto dei diritti fondamentali, sostegno alla popolazione senza discriminazioni. Non bastano le nomine, servono condizioni reali per lavorare. Perché la vera sfida non è solo “chi governerà Gaza”, ma se Gaza avrà finalmente un’amministrazione che scelga di costruire ponti e non muri, vita e non morte.