La cartina di tornasole di un sistema in stallo
Il lunedì 8 settembre 2025 potrebbe essere ricordato come il giorno in cui la Quinta Repubblica ha toccato con mano l’agonia di un sistema istituzionale incapace di generare coesione politica e governabilità duratura. François Bayrou, uomo simbolo del centro e della lealtà moderata, ha incassato una bocciatura pesante — 364 voti contrari contro 194 — in quella che lui stesso ha definito una “épreuve de vérité”. Verità ve n’è stata, e amara: la Francia non ha un governo in grado di tenere.
Dietro la caduta di Bayrou si cela molto più di una normale crisi parlamentare. È il segnale di un logoramento strutturale del modello macroniano, che ha fatto del “en même temps” la sua bandiera: insieme liberale e sociale, europeista e patriottico, centrista ma aperto ai frammenti di destra e sinistra. Un equilibrio troppo fragile per durare oltre la stagione fondativa. E adesso lo vediamo sgretolarsi sotto il peso delle sue stesse ambiguità.
Un centro senza cuore e una destra senza testa
Il voto di sfiducia ha messo a nudo le fratture profonde non solo tra i blocchi politici, ma all’interno di ciascuno di essi. Lo stesso “socle gouvernemental” — formato da Renaissance, MoDem e Horizons, con l’appoggio teorico dei Républicains — ha mostrato crepe insanabili. Una parte significativa dei deputati di destra ha voltato le spalle al proprio governo, spinta più da lotte intestine che da visioni di paese: il duello a distanza tra Bruno Retailleau e Laurent Wauquiez ne è solo l’ultima manifestazione.
Perfino una voce centrista come Violette Spillebout ha fatto mancare la fiducia a Bayrou per motivi etici e locali (la gestione dell’affaire Bétharram), a dimostrazione che non si può costruire una maggioranza parlamentare su equilibri troppo raffinati per reggere alla prova dei fatti.
Una sinistra che non sa scegliere
Anche a sinistra, la responsabilità è grande. Il Partito socialista, che avrebbe potuto astenersi o cercare una convergenza tattica, ha scelto la linea dura: voto contro, senza sfumature, neanche da parte di personalità concilianti come François Hollande. Una scelta legittima, certo, ma che mostra una sinistra più interessata alla delegittimazione dell’avversario che alla costruzione di un’alternativa. Boris Vallaud ha detto parole forti e giuste sulla responsabilità del macronismo nel deterioramento del bilancio nazionale, ma nulla ha detto su come superare l’impasse istituzionale. Il PS è pronto ad andare a Matignon, sì, ma con quale coalizione? Con quale programma?
In questa confusione, La France Insoumise insiste nel proprio aut aut: o al governo noi, o nessun governo. Una posizione che, di fatto, neutralizza ogni tentativo di mediazione. Dall’altra parte, il Rassemblement National soffia sul fuoco della “folia fiscale e migratoria”, invocando una nuova dissoluzione dell’Assemblea. È lo specchio del populismo da entrambi i lati dell’emiciclo: gridare all’emergenza, senza assumersi il rischio di governare davvero.
La crisi è del parlamentarismo, non solo di Macron
A ben vedere, la bocciatura di Bayrou non è tanto la sconfitta di un uomo o di un governo, quanto la prova di un’incapacità più ampia: quella del parlamentarismo francese a reggere senza una maggioranza chiara e coesa. La Quinta Repubblica, pensata da De Gaulle per evitare l’instabilità della Quarta, rischia oggi di somigliarle sempre di più. E il Presidente Macron — costretto per la seconda volta in meno di un anno a scegliere un nuovo Primo Ministro — si trova senza carte da giocare. Le opposizioni lo vogliono fuori gioco, ma non hanno i numeri né la convergenza per costruire un’alternativa. E anche il suo campo, un tempo così innovativo, si è ridotto a un mosaico di ambizioni personali e rivalità ideologiche.
François Bayrou ha detto una frase che resterà: «Vous avez le pouvoir de renverser le gouvernement, mais vous n’avez pas le pouvoir d’effacer le réel.» Una realtà fatta di debito pubblico crescente, riforme incompiute, tensioni sociali e sfiducia diffusa nella classe dirigente. Ma la politica, se non sa offrire una visione, non fa altro che aumentare la distanza tra istituzioni e cittadini.
Un’Europa che osserva con apprensione
L’instabilità francese non è un dettaglio nel panorama europeo. In un momento in cui l’Unione è chiamata a riformarsi, a fronteggiare la sfida migratoria e a ripensare la propria sovranità strategica, la crisi del secondo paese dell’eurozona getta ombre sul futuro comune. La Francia dovrebbe essere uno dei motori della coesione europea, e invece rischia di diventarne un fattore di incertezza.
La caduta di Bayrou non è un semplice passaggio di consegne. È il segnale che la politica francese deve ritrovare non solo una maggioranza, ma un’anima. E che la leadership, oggi più che mai, non può essere esercizio di equilibrio tra correnti, ma capacità di dire la verità, assumersi dei rischi e costruire alleanze credibili. Il realismo evocato da Bayrou è un buon punto di partenza. Ma serve anche coraggio. E visione.