In un tempo di crisi globali – guerre, emergenza climatica, migrazioni forzate – il vero crollo che rischia di travolgerci non è solo economico o ambientale: è la perdita di fiducia sociale. Senza di essa, ogni istituzione – civile, politica o religiosa – si svuota dall’interno, perde autorevolezza e diventa preda di populismi e sospetti.

Angela Merkel, lasciando la cancelleria nel 2021, lo disse con parole semplici e potenti: “Il capitale più importante per la politica è la fiducia”. Una democrazia sopravvive solo se c’è rispetto reciproco, adesione ai fatti, senso di solidarietà. Oggi, invece, vediamo tutto questo sgretolarsi.

Negli Stati Uniti, la sfiducia si è trasformata in arma politica. L’assalto a Capitol Hill nel gennaio 2021 ha mostrato quanto il rifiuto del risultato elettorale possa diventare violenza fisica. Durante la pandemia, la lotta al Covid è stata ostacolata non solo dal virus, ma da milioni di cittadini che, diffidando di scienza e istituzioni sanitarie, hanno rifiutato vaccini e mascherine. E ancora oggi, i dibattiti sull’immigrazione degenerano in retoriche disumanizzanti, dove il migrante diventa “nemico” invece che persona.

In Italia, la corrosione della fiducia si vede in altri segni: il Parlamento che approva norme elettorali o decreti “blindati” senza un vero confronto democratico; la politica che, a seconda della convenienza, chiede o nega l’estradizione di cittadini italiani all’estero, trasformando la giustizia in terreno di scambio ideologico; il crescente sospetto verso la magistratura, alimentato da scandali interni e campagne mediatiche. Persino la sanità pubblica, un tempo motivo di orgoglio nazionale, è oggi minata da liste d’attesa infinite che spingono milioni di italiani verso il privato, alimentando l’idea che lo Stato non sappia più proteggere i suoi cittadini.

E poi c’è la Chiesa, colpita da uno dei più gravi deficit di credibilità della sua storia contemporanea: lo scandalo degli abusi e delle coperture. Una ferita che, soprattutto nei Paesi occidentali, ha incrinato la fiducia di intere generazioni, già provate dal sospetto verso istituzioni percepite come autoreferenziali. Non basta invocare il Vangelo: serve un impegno trasparente, una riforma credibile e un contatto reale con la sofferenza delle vittime.

Il populismo – negli USA, in Italia, in Brasile – ha fiutato questa sfiducia e l’ha trasformata in carburante elettorale. Funziona così: delegittimare la stampa, denigrare le istituzioni di garanzia, screditare la scienza, ridicolizzare la cultura. Il risultato? Un Paese in cui il cittadino non crede più a nulla e a nessuno, tranne al leader di turno.

Ma la fiducia non si ricostruisce con slogan. Nasce da gesti concreti: un sindaco che spiega le scelte scomode, un vescovo che si siede in tribunale accanto a un migrante, un giornalista che rifiuta di piegare le notizie alle convenienze di partito, un medico che resiste alla tentazione di “fare cassa” con le paure della gente.

Il cristiano sa che la fiducia è parte integrante del bene comune: è la base di ogni convivenza pacifica e giusta. E oggi, più che mai, vale il monito di Merkel: “La nostra democrazia prospera sulla solidarietà e sulla fiducia”. Non possiamo permettere che questo capitale politico e morale finisca nelle mani di chi vive di sfiducia, sospetto e divisione. Perché senza fiducia sociale, ogni Paese – Italia, USA o qualunque altro – è già un Paese sconfitto.