L’Europa sogna un esercito comune mentre compra missili americani per riempire arsenali svuotati. Washington dice di essere stanca di fare da poliziotto globale, ma non è affatto stanca di incassare. La verità è che nessuno, né a Bruxelles né a Berlino, vuole ammettere che l’autonomia strategica europea resta una favola buona per i discorsi. E che gli Stati Uniti non sono stufi dell’Europa: sono stufi di pagare per un mondo che non conviene più — ma da noi continueranno a farsi pagare eccome.
Quando Ursula von der Leyen parla di “autonomia strategica” e di “futuro esercito europeo”, si alza un applauso che sembra più una forma di autoipnosi collettiva che un programma politico. È bello crederci, certo. È patriottico. È europeo. Ma chi conosce il settore della Difesa non applaude: sospira. Non per pessimismo, ma per semplice realismo militare.
Un esercito non nasce da un hashtag.
Un esercito nasce da una catena di comando unica, una volontà politica unica, un arsenale unico, una capacità di fuoco unica.
L’Europa non ha niente di tutto questo.
E non lo avrà per molti anni ancora.
Le forze armate europee sono una splendida galleria d’arte bellica: carri armati che non parlano tra loro, aerei che non condividono software, munizioni di calibro diverso, eserciti nazionali che rispondono più ai governi interni che a Bruxelles. È come voler fare un’orchestra con dodici direttori e strumenti accordati a caso. E sperare che esca Beethoven.
In questa confusione arriva il punto davvero interessante: la “pazienza finita dell’impero americano”. È diventato lo slogan del momento. Ma andrebbe tradotto per ciò che significa davvero.
Gli Stati Uniti non hanno perso la pazienza con noi.
Hanno perso il margine di guadagno del loro ruolo imperiale.
Per settant’anni la presenza americana in Europa è stata un affare: basi, influenza, leadership globale, controllo dei flussi militari, e — non dimentichiamolo — un’Europa che, in cambio della protezione, comprava massicciamente tecnologia e armamenti Made in USA. Non era carità. Era geopolitica.
Oggi però il mondo è cambiato:
la Russia non è più la minaccia numero uno.
La minaccia è la Cina.
E quando la minaccia è la Cina, l’Europa non è più un teatro strategico: è un teatro commerciale. Una gallina da spennare con cura e regolarità.
Gli Stati Uniti non vogliono più essere impero perché non conviene più. È troppo costoso. Troppo rischioso. Troppo dispersivo. Ma attenzione: non vogliono essere impero, non smettono di essere commercianti. E noi siamo ancora i clienti più facili del loro grande supermercato bellico.
Ecco la verità più scomoda:
l’Europa sogna l’autonomia comprando aerei, droni, missili, sistemi radar e tecnologie americane.
Autonomia a rate.
Indipendenza made in USA.
Un generale statunitense lo ha detto con un candore disarmante in un briefing a Bruxelles:
“Volete la libertà? Ottimo. Ma la comprate da noi.”
Intanto, per aiutare Kyiv, abbiamo svuotato gli arsenali. Ora li dobbiamo rifornire. E da chi? Dagli unici che hanno la capacità produttiva immediata: gli Stati Uniti.
Risultato: paghiamo tre volte.
Una per mandare le armi in Ucraina.
Una per comprare nuove armi.
Una per scoprire che saremo dipendenti da quelle armi per almeno vent’anni.
E sullo sfondo, l’altra grande ironia: mentre Trump parla apertamente di “mollare” l’Ucraina per corteggiare Putin contro la Cina, e mentre gli USA guardano al Pacifico come unico fronte decisivo, l’Europa resta qui, attaccata a promesse e dichiarazioni. Von der Leyen assicura che “saremo all’altezza”. Ma la politica non sostituisce i soldati. E la retorica non sostituisce i magazzini.
Il sogno dell’esercito europeo è nobile. Ma senza investimenti reali, senza una volontà politica unificata, senza una cultura comune della forza, resta un brindisi più che una strategia.
E così l’Europa continua a parlare come una potenza sovrana, ma compra come un cliente.
Finché l’Europa non capirà che la Difesa costa, e costa a casa nostra, non saremo una potenza. Saremo un mercato.
E nei mercati, chi paga non comanda.
Aspetta il resto — e spera che non sia sbagliato.
