Negli ultimi mesi, l’Europa è tornata a interrogarsi sulla propria vulnerabilità. Incursioni di droni non identificati – a volte sopra aeroporti, basi militari o semplicemente territori civili – hanno acceso luci d’allarme in vari Paesi dell’Unione. L’analista Cyprien Ronze‑Spilliaert parla senza mezze misure di un’“impresa di destabilizzazione” orchestrata da Russia, il cui obiettivo ultima sarebbe indebolire il sostegno europeo a Ucraina. Ma è davvero così semplice?
L’ipotesi prevalente: Mosca dietro l’attacco ibrido
Incidenti riportati recentemente – dall’aeroporto di Milano/Monaco/interruzioni del traffico al Belgio, dalla Polonia alla Danimarca – seguono uno schema variegato ma suggestivo: droni non identificati penetrano in spazi controllati, provocano confusione, rallentamenti e interrogativi.
L’analisi convenzionale è questa: la Russia, pur evitando un confronto militare aperto con la NATO (che considera molto rischioso), mette in campo tattiche “ibride” – droni, cyber-attacchi, disinformazione – che colpiscono le infrastrutture, i nervi sociali e la coesione occidentale.
In questo quadro, le incursioni non sarebbero errori o “esperimenti casuali”, ma operazioni confuse ma intenzionali, dirette a testare i sistemi di difesa, seminare panico, delegittimare le autorità europee e ridurre la volontà di sostegno all’Ucraina.
Eppure… le riserve e le domande che restano
Tuttavia, non mancano voci che invitano a una lettura più cauta. Un articolo di fondo intitolato “A collective anxiety attack: the psychology of unexplained drone sightings across Europe” mette in evidenza che gli episodi – pur gravi – hanno causato finora pochi danni materiali, ma un effetto simbolico smisurato: «le incursioni hanno finora prodotto poche conseguenze fisiche, ma gli esperti avvertono che lasciano le persone più vulnerabili».
Inoltre, un’analisi su War on the Rocks sottolinea che «anche se recenti incursioni russe di droni hanno aumentato la pressione, non è detto che tutti gli eventi siano intenzionali o attribuibili in modo certo a Mosca».
Anche il think tank Centre for European Policy Analysis (CEPA) segnala che alcuni episodi – come quelli in Danimarca e Norvegia – “non originate da Russia” ma potrebbero essere il frutto di malfunzionamenti, attori anonimi o semplicemente errori di navigazione.
Infine, fonti come Euronews ricordano che «mentre alcuni eventi sono collegati alla Russia, altri restano inspiegati – evidenziando le lacune nella prontezza europea».
Perché questo doppio binario di interpretazione è importante
Perché credere che “tutti i droni siano russi” rischia di semplificare eccessivamente un fenomeno che combina elementi militari, tecnologici, economici e psicologici.
Se si assume a priori che Mosca sia sempre responsabile, le contromisure rischiano di diventare reazioni automatiche – “nuova corsa alle armi anti-drone”, “muro anti-drone europeo” – piuttosto che risposte calibrate e intelligenti.
Allo stesso tempo, non voler riconoscere che la Russia potrebbe davvero star sperimentando tattiche ibride sarebbe un errore altrettanto grave. È essenziale mantenere una doppia consapevolezza: allerta attiva e rigore analitico.
Quale atteggiamento suggerire?
Facciamo tre proposte:
- Rafforzare le difese, ma senza isteria: è giusto investire in capacità anti-drone, monitoraggio e protezione infrastrutturale, ma senza farne un “muro contro tutti” che alimenta la paura anziché ridurla.
- Migliorare trasparenza e attribuzione: se un drone entra, è urgente capire chi l’ha lanciato, che tecnologia usa, quale obiettivo aveva. Non bastano accuse generiche o narrazioni politiche.
- Lavorare sulla resilienza sociale: come evidenziato da studi psicologici, l’effetto più pericoloso delle incursioni non è il colpo fisico, ma l’ansia collettiva, la perdita di fiducia nelle istituzioni.
Sì – la Russia potrebbe essere dietro molti episodi. Ma no – non possiamo accettare acriticamente l’idea che ogni drone nell’Europa occidentale sia un atto di guerra russo.
Il vero rischio non è solo che Mosca miri all’Europa, ma che l’Europa parta già convinta di essere sotto attacco, e reagisca di conseguenza, delegando alla paura più che alla politica.
E se la guerra ibrida è anche una guerra della narrazione, allora la migliore difesa non sarà solo un radar o un missile, ma una società civile capace di distinguere tra minaccia reale e panico costruito.
