Da alcune settimane i cieli del fianco orientale dell’Europa vivono un’insolita agitazione. Mig-31 che sconfinano in Estonia, droni che piombano sulla Polonia e sulla Romania: manovre spettacolari, che non hanno precedenti dal crollo dell’Urss. L’impressione diffusa è quella di un crescendo di tensione che obbliga la Nato a reagire con immediatezza, alzando in volo caccia italiani, svedesi e finlandesi o mobilitando batterie Patriot tedesche.
Dietro i titoli che parlano di “violazioni senza precedenti”, tuttavia, si intravede una dinamica ben precisa. Mosca non sta cercando lo scontro frontale: testa i tempi di reazione, misura la tenuta del sistema di difesa aerea dell’Alleanza, invia segnali politici a ridosso di esercitazioni Nato e manovre congiunte russo-bielorusse. È un gioco di nervi, calibrato con cura.
La vulnerabilità dei cieli europei
L’episodio dei 19 droni penetrati nello spazio aereo polacco, di cui solo tre abbattuti, ha mostrato quanto l’Europa sia ancora impreparata a una minaccia che in Ucraina è già quotidiana. Lì Mosca lancia sciami di centinaia di droni kamikaze: un’arma di logoramento, poco costosa e difficile da neutralizzare. Generali ed esperti concordano che, di fronte a un attacco su vasta scala, la Nato avrebbe oggi serie difficoltà.
Non a caso si parla di un “muro di droni” da schierare lungo tutto il fronte orientale: sensori, sistemi di disturbo elettronico, difese antiaeree integrate. Una rete tecnologica che richiederà tempo, investimenti e soprattutto coordinamento politico.
Provocazione sì, minaccia immediata no
Se è vero che la Russia moltiplica le incursioni e le simulazioni d’invasione, è altrettanto vero che non vi sono segnali di un attacco imminente ai Paesi Baltici o alla Polonia. Lo scopo è più sottile: mettere alla prova l’unità dell’Alleanza, alimentare la sensazione di vulnerabilità, far capire che Mosca può disturbare quando e dove vuole. È la logica della “guerra ibrida”: pressione continua, senza varcare la soglia che scateni una risposta diretta.
Un banco di prova per l’Europa
Per i Paesi dell’Est, storicamente segnati dal trauma dell’occupazione sovietica, ogni sconfinamento riapre ferite profonde. Da qui la richiesta di un rafforzamento immediato, che Bruxelles e la Commissione hanno promesso di sostenere. Ma il vero banco di prova sarà la capacità di conciliare fermezza e prudenza: reagire senza cadere nella trappola dell’escalation.
L’Europa, in questo frangente, è chiamata a non farsi dettare l’agenda dalle provocazioni. Resta infatti una certezza: non siamo sull’orlo di una guerra, ma nel pieno di un confronto strategico in cui il tempo, la lucidità e la coesione contano più dei riflessi muscolari.