Come gli USA hanno finanziato le guerre di Israele contro Gaza, Libano, Siria, Iran e Yemen
Secondo quanto riportato da Sicurezza Internazionale – quotidiano online, due nuovi rapporti del Costs of War Projectdella Brown University rivelano che Israele non avrebbe potuto sostenere le sue guerre in Medio Oriente senza il sostegno finanziario e militare degli Stati Uniti. Dal 7 ottobre 2023, Washington ha speso oltre 30 miliardi di dollari tra aiuti diretti e operazioni militari nella regione. Senza questi fondi, affermano i ricercatori, Israele non avrebbe potuto proseguire la guerra a Gaza né estendere i suoi attacchi in Libano, Siria, Iran e Yemen. Un’alleanza che, più che proteggere, rivela oggi la dipendenza strutturale di Israele da Washington — e solleva interrogativi morali sull’uso del potere, sul prezzo della sicurezza e sulla complicità dell’Occidente nel perpetuare un conflitto senza via d’uscita.
Secondo quanto riportato da Sicurezza Internazionale, due nuovi rapporti del Costs of War Project della Brown University rivelano una verità scomoda: senza il sostegno economico, militare e politico degli Stati Uniti, Israele non avrebbe potuto sostenere le guerre che da due anni infiammano il Medio Oriente.
Dal 7 ottobre 2023 al settembre 2025, Washington ha fornito oltre 21 miliardi di dollari in aiuti diretti, che diventano oltre 30 miliardi se si includono le operazioni militari statunitensi nella regione.
Gli studi firmati da William D. Hartung e Linda J. Bilmes documentano che la macchina bellica israeliana, dai bombardamenti su Gaza alle incursioni in Libano, Siria, Yemen e Iran, poggia su un’infrastruttura di armi, logistica e fondi statunitensi. Il sostegno americano, scrive Hartung, è “indispensabile per proseguire la guerra di Israele sia a Gaza che nella regione”.
Dietro questi numeri si nasconde un paradosso politico: Israele, che rivendica autonomia strategica e diritto assoluto alla difesa, è in realtà strutturalmente dipendente da Washington. Non solo per i sistemi missilistici Iron Dome o Arrow, ma per la sopravvivenza stessa della sua strategia militare.
Dal 2016, un memorandum d’intesa firmato sotto l’amministrazione Obama garantisce 3,8 miliardi di dollari annui fino al 2028. Ma con la guerra in corso, gli stanziamenti straordinari hanno superato di gran lunga quella cifra, con oltre 90.000 tonnellate di armi consegnate su 800 voli militari e 140 navi.
Il dato più inquietante è che la sproporzione del sostegno americano si accompagna a una crescente crisi morale e politica. La guerra di Israele a Gaza ha causato oltre 67.000 morti, tra cui decine di migliaia di civili, e quasi 170.000 feriti. Israele ha esteso le sue operazioni ben oltre i confini di Gaza: più di 4.000 morti in Libano, oltre 1.000 in Iran durante i bombardamenti di giugno, decine di vittime in Yemen. Un’escalation regionale che avrebbe travolto l’intera area se Washington non avesse imposto limiti e sospensioni parziali, come la decisione di Biden nel 2024 di bloccare la consegna di bombe di grande capacità.
Eppure, il dibattito interno agli Stati Uniti si è fatto sempre più critico. Secondo Sicurezza Internazionale, il sostegno incondizionato a Israele sta erodendo il consenso interno: un sondaggio del Washington Post rivela che il 60% degli americani considera Israele colpevole di crimini di guerra a Gaza, e quattro ebrei americani su dieci parlano apertamente di genocidio.
Si tratta di un mutamento epocale: la “causa israeliana” non è più intoccabile nel discorso pubblico americano.
L’amministrazione Trump, tornata alla Casa Bianca, ha rovesciato le cautele di Biden, ripristinando la formula del sostegno totale a Netanyahu, fino a coordinare con Israele i raid contro l’Iran nel giugno 2025. Ma questo ritorno al “patto incondizionato” rischia di trasformarsi in un abbraccio asfissiante.
Israele, invece di rafforzarsi, sembra sempre più prigioniero di un’alleanza che ne garantisce la potenza ma ne limita l’autonomia.
Le cifre riportate da Sicurezza Internazionale descrivono con precisione una realtà che supera la retorica: Israele è oggi il maggiore beneficiario cumulativo degli aiuti americani dalla Seconda guerra mondiale, con oltre 300 miliardi di dollari ricevuti dal 1948, al netto dell’inflazione. Ma è anche un Paese sempre più isolato moralmente e politicamente, incapace di proporre una via d’uscita credibile al conflitto.
La questione non è più se Israele possa vincere militarmente, ma a quale prezzo etico, politico e umano.
Dietro ogni raid finanziato da Washington si consuma una parte del prestigio democratico dell’Occidente, che rischia di legittimare una guerra senza limiti e senza memoria.
In fondo, la vera domanda è se la sicurezza d’Israele – e la stabilità della regione – possano ancora poggiare su un flusso di bombe e miliardi.
O se non sia ormai tempo che anche gli alleati più fedeli di Gerusalemme chiedano una resa dei conti con la realtà: quella che nessuna alleanza militare potrà mai sostituire la pace.
