La verità che manca ai comunicati
C’è una frase del comunicato del Consiglio Supremo di Difesa, riunitosi il 17 novembre al Quirinale, che colpisce più di altre: «L’Italia conferma il proprio pieno sostegno all’Ucraina e accoglie con favore la tregua a Gaza». Parole misurate, istituzionali, forse inevitabili. Ma, lette alla luce dei fatti, rivelano un tratto che la coscienza cristiana non può ignorare: la distanza tra il linguaggio della diplomazia e la verità della sofferenza.
Ucraina, il sostegno necessario e la domanda inevasa
Sul fronte ucraino, la posizione italiana rimane chiara: aiuti militari, cooperazione, lealtà alla cornice euro-atlantica. È giusto aiutare un popolo aggredito. È giusto difendere il diritto internazionale, che non è un optional.
Ma ciò che manca è una visione politica.
La guerra è in uno stallo che consuma vite e speranze. Ogni nuovo pacchetto di aiuti – che pure è comprensibile – dovrebbe accompagnarsi a una strategia che indichi una strada verso il negoziato, non come resa, ma come unico esito umano possibile.
In questo senso, le analisi critiche — anche quelle di studiosi come Alessandro Orsini, spesso controverse — servono almeno a ricordarci una verità semplice: sostenere Kiev non può tradursi nel prolungare la sua agonia.
Gaza, una tregua proclamata ma non vissuta
Ancora più delicato è il passaggio sul Medio Oriente. Il Consiglio «accoglie con favore» la tregua nella Striscia di Gaza. Eppure la tregua esiste più nei comunicati che nei vicoli della città martoriata: bombardamenti sporadici, scontri, ospedali irraggiungibili, convogli umanitari bloccati, bambini che non dormono per la paura.
Non è colpa del Quirinale, è chiaro.
Ma è dovere del mondo – e dell’Italia dentro il mondo – chiamare le cose col loro nome. La pace non cresce nel terreno delle parole accomodate.
La responsabilità della verità
Il comunicato del 17 novembre compie il suo dovere: allinea l’Italia ai suoi alleati, ribadisce scelte, conferma impegni. Eppure, ciò che resta fuori dal testo è proprio ciò che oggi manca alla politica internazionale: un supplemento di verità.
Verità sullo stallo in Ucraina.
Verità sulla fragile illusione della tregua a Gaza.
Verità sul fatto che la sicurezza non nasce dall’omissione, ma dal coraggio di guardare il dolore senza edulcorarlo.
Don Tonino Bello scriveva che «la pace è tessitura paziente, non slogan gridati».
E papa Francesco ci ricorda continuamente che non si costruisce pace senza ascoltare il grido delle vittime, non quello degli arsenali.
Il compito dell’Italia oggi
L’Italia può essere più che un Paese “allineato”. Può essere un Paese che tiene aperta la domanda di pace, anche quando la realpolitik sembra chiuderla.
Sostenere Kiev, sì.
Soccorrere Gaza, sì.
Ma riconoscere che la pace non c’è ancora: e che per costruirla servono parole più coraggiose e gesti più lungimiranti.
In fondo, è questo che la comunità cristiana è chiamata a chiedere alla politica: che non si limiti a registrare il mondo com’è, ma che osi dire il mondo come dovrebbe essere.
Il 17 novembre ci ricorda che il dovere della politica è decidere.
Il dovere della fede è discernere.
E il dovere della coscienza pubblica è non smettere mai di cercare la verità, anche quando i comunicati preferirebbero nasconderla nelle pieghe delle formule.
