Cinque anni fa, il 4 agosto 2020, una massa enorme di nitrato d’ammonio collocata in modo irresponsabile esplose al porto di Beirut, travolgendo la città, uccidendo più di 200 persone e ferendone circa 6.000. Ciò che doveva restare un incidente isolato è diventato un simbolo: sia della fragilità del Libano sia della lentezza con cui la verità e la giustizia emergono.
Lo scorso 4 agosto, durante una veglia commemorativa, Papa Leone XIV ha espresso la sua vicinanza spirituale al popolo libanese. Messaggi letti dall’arcivescovo Borgia ribadivano che Cristo condivide le nostre lacrime e che “la morte non avrà mai l’ultima parola”. Ha insistito sul fatto che il dolore delle famiglie delle vittime, prive ancora di responsabilità accertata, è un peso che grava su tutta la nazione .
Un Paese che fatica a rialzarsi
Il Libano di oggi è un mosaico minato da crisi sovrapposte. Dopo due anni di paralisi politica, tra fine 2024 e inizio 2025 è stato nominato il presidente Joseph Aoun, supportato da ampi consensi parlamentari, e il premier Nawaf Salam ha formato un governo riformista . Ma la sfida è enorme: l’inflazione galoppante, la povertà multidimensionale (che colpisce oltre il 70% della popolazione) e un debito pubblico insostenibile restano battaglie aperte .
L’economia, secondo il World Bank Lebanon Economic Monitor, dovrebbe crescere del 4,7% nel 2025 e l’inflazione calare sotto il 16% se proseguono le riforme e torna fiducia nei consumatori e nei turisti . E proprio la rinascita del settore turistico—storicamente vicino al 20% del PIL—sta tornando al centro dei piani di rilancio, nella speranza di attrarre visitatori dai Paesi del Golfo come ai tempi d’oro degli anni ‘60 e ‘70 .
Giustizia ancora rimandata
Sul fronte della verità giudiziaria, il percorso è stato tortuoso. Il giudice Tarek Bitar ha prodotto un dossier di quasi 1.200 pagine, ma le indagini sono state ostacolate da resistenze politiche e conflitti regionali, come la guerra del 2024 contro Israele. Le accuse dovrebbero essere presentate entro fine anno, ma le famiglie delle vittime reclamano da anni una risposta chiara . Il presidente Aoun ha ribadito che “la giustizia verrà, indipendentemente dai nomi o dal rango dei responsabili” e che “il sangue versato non sarà stato vano” .
Tra fragilità e riforme urgenti
Sul piano economico-finanziario, il governo ha finalmente approvato una legge di ristrutturazione bancaria attesa da tempo, passi cruciali per soddisfare le richieste del Fondo Monetario Internazionale e sbloccare concessioni internazionali. La riforma affronta anche la questione dei depositi persi e della governance della Banque du Liban .
Il nuovo esecutivo ha anche varato modifiche alla legge sul segreto bancario per consentire indagini retroattive su conti sospetti, misura essenziale per contrastare riciclaggio e finanziamenti illeciti, soprattutto legati a Hezbollah: il Paese è ancora nella “grey list” del FATF, con gravi rischi reputazionali e limitazioni sugli investimenti stranieri .
Parallelamente, il Libano risente della pressione diplomatica degli Stati Uniti: Washington condiziona qualsiasi finanziamento alla disdetta di Hezbollah dal suo arsenale, mentre Israele insiste su un ritiro definitivo e la smilitarizzazione del sud del Libano. Il presidente egiziano Aoun e il premier Salam fanno appello a un’intesa parlamentare per un processo di disarmo graduale, ma Hezbollah resiste. Il rischio è che ogni accordo politico si trasformi in un terreno minato se il dialogo si incrina .
Una speranza da seminare
La messa a dimora di 75 alberi d’olivo in memoria delle vittime del porto resta un gesto simbolico ma potente: non solo un omaggio, ma un invito alla rinascita delle radici civili e morali della società libanese, profondamente ferita. Il messaggio del Papa e l’impegno delle famiglie che reclamano giustizia mostrano che speranza e verità possono andare a braccetto
Il quinto anniversario della strage al porto di Beirut non è solo un ricordo: è il banco di prova di un futuro possibile. Il Libano deve dimostrare di saper trasformare la propria memoria in responsabilità. Serve giustizia reale, non solo simbolica. Serve stabilità politica, non compromessi settari eterni. Serve riforme economiche coraggiose, non illusioni a breve termine.
E mentre alberi d’olivo crescono accanto alle cicatrici della città, resta una domanda aperta: chi raccoglierà il frutto di questa semina? Solo chi saprà guardare oltre l’oggi, con la memoria salda e il cuore volto alla dignità.