La Commissione parlamentare smentisce la tesi della “segregazione in Inghilterra”. Dopo anni di accuse e illazioni, il caso si ribalta: nessun complotto, solo falsi e menzogne contro la Santa Sede.

Roma – Dopo quarant’anni di sospetti, titoli urlati e accuse infamanti, il caso Orlandi conosce finalmente un punto fermo: la pista di Londra è un falso. Lo ha stabilito la Commissione parlamentare d’inchiesta, che ha analizzato documenti, testimonianze e fonti di una delle ipotesi più grottesche e mediaticamente gonfiate dell’intera vicenda. Una teoria – quella della “segregazione inglese” di Emanuela Orlandi – che per anni è stata brandita come un’arma contro il Vaticano. Ora, il Parlamento italiano dice ciò che molti sospettavano da tempo: non c’è mai stata alcuna Emanuela nascosta a Londra.

Una lettera fantasma e una costruzione mediatica

Tutto era nato nel 2017, quando il giornalista Emiliano Fittipaldi pubblicò un documento che avrebbe dovuto cambiare la storia: cinque pagine anonime, senza protocollo, attribuite a un cardinale già defunto, che parlavano di spese sostenute dal Vaticano per mantenere Emanuela in una struttura inglese.

Una “nota spese” surreale, intitolata — incredibilmente — “Resoconto sommario delle spese sostenute dalla Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi”.

Un documento infarcito di errori, cifre inventate, firme inesistenti. Eppure bastò a scatenare un’ondata di sospetti. Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, e alcuni giornalisti amici rilanciarono la teoria della prigionia in Inghilterra come se fosse verità di Stato.

Ma la montagna mediatica ha partorito un topo: nessuna prova, nessun riscontro, nessun testimone.

Baioni, l’ennesima bufala

L’ultimo colpo di scena è arrivato ieri: la Commissione ha ascoltato il vero Vittorio Baioni, ex Nar, che avrebbe dovuto essere il misterioso uomo del “trasferimento a Londra”.

Risultato? Tutto falso. Baioni non c’entra nulla, all’epoca era in carcere e ora ha querelato Pietro Orlandi per diffamazione.

Un altro tassello di menzogne che si aggiunge alla lunga catena di depistaggi. Dalla falsa lettera del cardinale Antonetti al fantomatico aborto citato nella “nota spese”, fino alle email misteriose provenienti da account spariti nel nulla.

Il silenzio dei “professionisti del sospetto”

Colpisce il silenzio di chi per anni ha cavalcato la “pista londinese” con toni apocalittici.

Giornalisti come Alessandro AmbrosiniGiulia Ciriaci e Alessandra De Vita — spesso in simbiosi con Pietro Orlandi — hanno rilanciato voci, teorie e insinuazioni, spesso autocitandosi a vicenda. Ambrosini arrivò persino a pubblicare le parole scandalose sull’allora Papa Giovanni Paolo II, riportate da un ex della Banda della Magliana, sostenendo che “Wojtyla la sera usciva con due monsignori”.

Una frase che fece il giro del mondo, diffamando un santo. Ma ora che i fatti smentiscono tutto, nessuno di loro parla. Né un articolo, né una rettifica, né una parola sulla testimonianza che ha fatto crollare la pista di Londra.

Un silenzio assordante.

Il paradosso Orlandi

Il paradosso più grande è che lo stesso Pietro Orlandi aveva chiesto con forza l’istituzione della Commissione parlamentare, convinto che avrebbe “smascherato il Vaticano”.

Invece, la Commissione — con rigore e metodo — ha dimostrato l’esatto contrario.

Il presidente Andrea De Priamo ha dichiarato che «dall’analisi della documentazione emerge un’ampia collaborazione tra Stato italiano e Santa Sede». Non un “muro di silenzio”, come per anni si è detto, ma una volontà sincera di cooperare per arrivare alla verità.

E, aggiunge De Priamo, «questo smentisce la narrazione di un Vaticano reticente o indifferente. Anzi, mostra un’istituzione preoccupata e partecipe».

Insomma: il Vaticano non è il colpevole, ma la vittima di una gigantesca macchina del fango.

Una macchina costruita a tavolino

Dietro la “pista inglese” si delinea ormai il profilo di una strategia: colpire la Chiesa, destabilizzare la Santa Sede, insinuare sospetti sulle più alte gerarchie.

Un copione già visto, rispolverato ogni volta che i “corvi” o i nemici di Papa Francesco cercano di infangare il volto della Chiesa cattolica.

Fittipaldi stesso, oggi, ha ammesso che quella “nota spese” era un falso, «una polpetta avvelenata» servita dai corvi vaticani a chi cercava scandali da prima pagina.

La verità che resiste

Il caso Orlandi resta un mistero doloroso, ma la Commissione ha fatto finalmente un passo decisivo: ha separato la ricerca della verità dal rumore mediatico.

Ha smontato un’ipotesi tossica, costruita su menzogne, e ha restituito alla Santa Sede il diritto di essere ascoltata senza pregiudizi.

Resta ancora molto da chiarire, ma una certezza emerge: non ci sono prove di un coinvolgimento del Vaticano nella scomparsa di Emanuela Orlandi.

E questo, in sé, è già un fatto storico.

Un finale (provvisorio)

Quarant’anni dopo quella sera di giugno 1983, le bugie cominciano a cadere una dopo l’altra.

L’Inghilterra, i cardinali, i documenti falsi, le teorie più assurde: tutto smentito.

Resta la sofferenza della famiglia e la necessità di verità e giustizia.

Ma la verità non nasce dal fango. Nasce dalla pazienza, dal coraggio e — come in questo caso — dalla trasparenza di chi è stato accusato ingiustamente, ma non ha mai smesso di collaborare.

La Santa Sede ne esce più limpida, e l’Italia un po’ più vicina a capire quanto male possono fare le fake news quando colpiscono la fede e la speranza di un popolo.