Un alleato di Trump vicino ai settori tradizionalisti assume un ruolo chiave nei rapporti con la Santa Sede

Dopo oltre un anno di vacanza diplomatica, gli Stati Uniti hanno finalmente un nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. Si tratta di Brian Burch, presidente della ONG conservatrice CatholicVote e volto noto dell’elettorato cattolico trumpiano, la cui nomina – approvata il 2 agosto dal Senato – era rimasta bloccata per mesi a causa dell’opposizione dei senatori democratici.

La designazione arriva in un momento delicato: la recente elezione del primo papa americano, Leone XIV, ha reso ancor più urgente colmare l’assenza di un rappresentante ufficiale statunitense presso il Vaticano. E Burch, classe 1975, padre di nove figli, devoto cattolico e stratega elettorale, ha già fatto sapere via social di sentirsi «onorato e grato» per la fiducia ricevuta da Donald Trump. Il nuovo ambasciatore ha anche sottolineato la coincidenza simbolica di essere, come il Pontefice, originario di Chicago.

Un ambasciatore politico, non un diplomatico

Come molti predecessori scelti da amministrazioni repubblicane e democratiche, anche Burch non proviene dal corpo diplomatico. Negli Stati Uniti è prassi consolidata assegnare questa sede a figure di rilievo politico, spesso come forma di riconoscenza elettorale. In questo caso, Burch ha effettivamente avuto un ruolo determinante nella mobilitazione del voto cattolico in favore di Trump nel 2024, ottenendo risultati decisivi in diversi Stati in bilico come Michigan, Wisconsin, Pennsylvania, Arizona e Florida.

Durante la campagna, Burch ha spiegato di aver utilizzato una sofisticata tecnica di geolocalizzazione (geofencing) per identificare i cattolici praticanti tramite app e inviare loro messaggi elettorali mirati. Il messaggio era chiaro: “I voti più importanti sono seduti accanto a voi ogni domenica a Messa”. E i numeri gli hanno dato ragione: secondo un exit poll del Washington Post, il 59 % dei cattolici ha votato per Trump nel 2024, ben 20 punti sopra Kamala Harris. Solo quattro anni prima, Joe Biden – secondo presidente cattolico della storia americana – ne aveva ottenuto il 52 %

Una visione ecclesiale molto orientata

Burch, però, non rappresenta l’episcopato americano né gode di un mandato ecclesiale. La sua organizzazione, CatholicVote, non è affiliata alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, ma è ben radicata nel mondo conservatore. Si è distinta negli ultimi anni per le sue campagne contro l’aborto, l’immigrazione irregolare e il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Sui social, il neoambasciatore ha spesso espresso posizioni critiche verso papa Francesco, manifestando simpatia per cardinali apertamente contrari al suo pontificato, come Raymond Burke. In un post del 2023, Burch denunciava una presunta collaborazione tra il FBI e diocesi americane per monitorare le comunità legate alla Messa in latino, chiedendosi retoricamente: “Chi nella Chiesa collabora con il governo per sorvegliare i fedeli tradizionalisti?”

Pochi mesi dopo, al termine della prima sessione del Sinodo sulla sinodalità, aveva definito l’intero processo una “ruse”, una messinscena, accusando papa Francesco di reprimere i suoi oppositori interni. Tuttavia, dopo la morte del Papa argentino e la successiva elezione del nuovo pontefice, Burch ha moderato i toni, dichiarandosi disponibile a collaborare «per promuovere la dignità di ogni persona e il bene comune».

Un’anomalia americana

La scelta di Brian Burch continua una tradizione tutta americana: quella di inviare a Roma figure politiche, talvolta senza alcuna esperienza diplomatica. Una prassi ben diversa da quella di altri Paesi occidentali. L’attuale ambasciatrice francese, Florence Mangin, è stata in precedenza ambasciatrice in Portogallo; il suo omologo belga, Bruno van der Pluijm, ha ricoperto incarichi in Tunisia e Cina; l’ambasciatore britannico, Chris Trott, ha lavorato in Afghanistan, Birmania e Giappone.

Gli Stati Uniti, invece, preferiscono premiare esponenti politici o attivisti che abbiano avuto un ruolo strategico nelle campagne presidenziali. Così fu con Callista Gingrich, moglie dell’ex speaker della Camera, nominata da Trump nel suo primo mandato; o con Joseph Donnelly, ex senatore democratico, nominato da Biden e ritiratosi nel 2024 per entrare nello staff della sua campagna.

Una nomina che interroga

Quella di Brian Burch è dunque una scelta politica forte, segnata da un’identità cattolica schierata, e potenzialmente divisiva. Non sarà facile per lui rappresentare tutto il cattolicesimo americano in Vaticano, soprattutto ora che la Santa Sede è guidata da un papa statunitense, che ha davanti a sé il compito di ricomporre fratture ecclesiali, pacificare tensioni liturgiche e riaprire il dialogo intraecclesiale.

In questo scenario, la presenza di un ambasciatore legato al mondo più identitario e polarizzato del cattolicesimo americano pone interrogativi pastorali e geopolitici. Il rischio non è solo quello di una sovrapposizione tra fede e ideologia, ma anche quello di importare nella diplomazia vaticana la logica dello scontro culturale.

Il compito, ora, sarà quello di vigilare affinché il ruolo diplomatico non venga piegato a un’agenda interna, ma resti un ponte tra mondi diversi, nel rispetto della verità, della libertà religiosa e della missione universale della Chiesa.