Due morti e quattro feriti: questo il bilancio del vile attentato compiuto a Manchester contro la sinagoga di Heaton Park, nel giorno più sacro del calendario ebraico, lo Yom Kippur. Un uomo si è lanciato con la sua auto sui fedeli, ha tentato di accoltellarli ed è stato poi ucciso dalla polizia. Altri due sospetti sono stati arrestati. L’episodio, definito ufficialmente “atto terroristico”, ha subito scosso il Regno Unito e la comunità ebraica mondiale.
Da settimane assistiamo a una crescita esponenziale di episodi d’odio contro ebrei in Europa, legati al contesto della guerra a Gaza. Ma guai a chiamare tutto questo “antisemitismo”: sarebbe una semplificazione che rischia di oscurare la realtà. Qui non si tratta di dissenso politico verso Israele o di protesta legittima per la sorte del popolo palestinese. Qui siamo di fronte a balordi ed estremisti ideologizzati che usano la religione e i conflitti per giustificare il proprio odio. È terrorismo, non “opinione”.
Il pericolo, però, è che questo odio cieco alimenti la spirale della contrapposizione: “se attaccano gli ebrei, allora Israele ha ragione in tutto”. È la logica del ricatto morale che confonde vittime e carnefici e che porta a strumentalizzare la sofferenza di un popolo per giustificare la sofferenza inflitta a un altro. Ma la violenza non si giustifica mai, né a Gaza né a Manchester.
La risposta necessaria
Il primo ministro Starmer ha promesso sicurezza e protezione a tutte le comunità ebraiche del Regno Unito. È doveroso: nessuno deve sentirsi insicuro per la propria fede. Ma la sicurezza da sola non basta. Serve un lavoro culturale, educativo e spirituale che aiuti a distinguere tra critica legittima delle scelte di uno Stato e odio cieco verso un popolo o una religione.
La Chiesa lo ha ricordato più volte: antisemitismo e antigiudaismo sono peccati gravi. Ma anche l’uso strumentale della memoria della Shoah per giustificare altre violenze è un peccato di verità.
La fede ci insegna che il male non si combatte col male, ma con la conversione del cuore. Non possiamo permettere che la rabbia per Gaza diventi odio verso gli ebrei, così come non possiamo accettare che il dolore di Manchester diventi alibi per chiudere gli occhi sul dramma palestinese.
I “balordi” ci sono ovunque, tra i filo-palestinesi e tra i filo-israeliani. Il compito dei credenti è non lasciarsi trascinare, ma custodire la speranza di una giustizia possibile.
Come ha scritto San Paolo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21). Questo, oggi più che mai, è il compito dei cristiani in Europa: non cedere alla logica del sospetto e dell’odio, ma restare testimoni di fraternità.