Le ultime elezioni in Argentina hanno segnato un passaggio politico di grande rilievo. La coalizione di governo guidata da Javier Milei, La Libertad Avanza, ha subito un calo significativo, mentre il fronte peronista ha registrato un’affermazione consistente, conquistando in particolare la provincia di Buenos Aires con Axel Kicillof come figura emergente.

Il dato non sorprende del tutto. L’Argentina vive da decenni una condizione di instabilità economica cronica, con cicli di inflazione, svalutazioni e politiche di austerità che si alternano a misure di spesa pubblica orientate al sostegno sociale. L’arrivo di Milei al potere, con il suo programma di ispirazione ultraliberista e fortemente critico verso lo Stato, aveva suscitato forti aspettative in alcuni settori e profonde preoccupazioni in altri.

A quasi un anno dal suo insediamento, i risultati sono controversi. Alcuni indicatori macroeconomici mostrano un rallentamento dell’inflazione, ma al prezzo di un drastico calo del consumo interno, con chiusure diffuse di piccole attività e un aumento del disagio sociale. I dati sulla povertà – oltre il 40% secondo fonti indipendenti – parlano da soli. La promessa di “distruggere la casta politica” si è scontrata con la complessità di governare un Paese segnato da squilibri strutturali e da un forte radicamento dei movimenti sociali.

Il successo di Axel Kicillof, economista e attuale governatore di Buenos Aires, dimostra come una parte significativa della popolazione continui a identificarsi con la tradizione peronista, vista come garanzia di protezione sociale e vicinanza ai ceti popolari. Kicillof non nasconde le sue simpatie per figure simboliche della sinistra latinoamericana e si pone come nuovo punto di riferimento per un campo progressista che, nonostante divisioni interne e vicende giudiziarie legate a Cristina Fernández de Kirchner, rimane radicato nel tessuto sociale argentino.

La crisi di Milei non è solo il frutto delle sue scelte radicali – come i tagli alla spesa pubblica, le riforme nel settore sanitario e i provvedimenti controversi su temi eticamente sensibili – ma riflette anche la difficoltà di applicare un modello neoliberista in un contesto segnato da forti disuguaglianze e da una storia di movimenti popolari molto attivi. L’impatto sociale delle sue misure ha alimentato proteste e tensioni, in particolare nelle aree urbane più fragili.

Il voto argentino racconta, dunque, più di una semplice alternanza politica. È il segnale di un Paese che cerca un equilibrio tra la necessità di riforme economiche e la tutela dei settori più vulnerabili della popolazione. Da questa dialettica nascerà il futuro prossimo dell’Argentina: un futuro che richiederà meno slogan e più capacità di mediazione, oltre a un confronto serio sulla sostenibilità delle scelte economiche.

In questo scenario, la lezione che viene da Buenos Aires è chiara: le democrazie latinoamericane, pur tra fragilità e conflitti, restano capaci di correggere la rotta attraverso lo strumento del voto, dando voce alle attese e alle sofferenze del popolo.