La decisione del governo talebano di ridurre l’accesso a Internet in diverse province afghane è più di una misura tecnica: è un atto politico e simbolico. Ufficialmente, l’emiro Hibatullah Akhundzada ha ordinato il blocco della fibra ottica “per combattere il vizio e la corruzione morale”. Ma la retorica morale serve qui a mascherare ciò che è in gioco: il controllo dell’informazione e, con esso, della società.

Dal punto di vista della politologia, siamo di fronte a una dinamica classica delle teocrazie autoritarie: ciò che non può essere controllato viene oscurato. Internet rappresenta un flusso di comunicazione orizzontale, potenzialmente destabilizzante perché mette in relazione individui, comunità e mercati oltre i confini imposti dallo Stato. Limitare la connettività equivale a riaffermare il primato della verticalità del potere.

Dal punto di vista della mediologia, la contraddizione è lampante. Nel 2024 gli stessi talebani avevano presentato la fibra ottica come priorità per modernizzare il Paese e aprirlo al commercio globale. Molti dirigenti sono molto attivi sui social per diffondere propaganda ufficiale. Ma quando il medium diventa veicolo di alternative, di confronto culturale o semplicemente di scambio economico libero, allora Internet diventa un nemico da ridurre a canale telefonico intermittente.

Le conseguenze sono gravi non solo per la libertà d’espressione ma anche per l’economia reale. L’appaltatore di marmo di Kandahar che non riesce a rispondere ai clienti di Dubai e India è il simbolo di una contraddizione drammatica: in nome della “purezza morale” si condanna il Paese all’isolamento e alla povertà. È una strategia che mortifica non solo le voci dissidenti, ma anche le energie imprenditoriali, culturali e giovanili che avrebbero potuto costruire un futuro diverso.

La riduzione di Internet in Afghanistan è dunque un esempio perfetto di come il potere autoritario legga la tecnologia: non come opportunità di crescita condivisa, ma come minaccia da recintare. Eppure proprio qui si vede l’ingenuità politica dei talebani. Perché Internet non è un semplice strumento: è una struttura di mondo. Tagliarla fuori significa condannare l’Afghanistan a un’esistenza parallela, marginale, dove la propaganda può anche dominare, ma senza generare sviluppo.

La vera domanda è se la comunità internazionale accetterà ancora una volta questa auto-ghettizzazione del Paese, oppure se userà leve diplomatiche ed economiche per spingere i talebani a capire che la connessione non è vizio, ma condizione di sopravvivenza.