Nel prossimo settembre, durante l’80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si decideranno scenari cruciali per la questione israelo-palestinese. Diversi Stati europei si preparano al riconoscimento formale dello Stato di Palestina, un atto che, pur non costituendo uno Stato pienamente sovrano sul piano del diritto internazionale, rappresenterebbe una svolta morale e politica. In gioco non c’è solo una questione diplomatica, ma la possibilità di affermare che la pace autentica nasce dal riconoscimento reciproco e dalla giustizia.
La Santa Sede ha già compiuto questo passo, nel 2015, firmando un accordo bilaterale con lo Stato di Palestina. Da allora, non ha mai smesso di sollecitare una soluzione fondata su due popoli e due Stati. Lo ha ribadito recentemente Papa Leone XIV, in perfetta continuità con il magistero di Papa Francesco, mentre il cardinale Pietro Parolin ha ricordato che riconoscere la Palestina non è “un atto contro qualcuno, ma un gesto per il bene di tutti”. In mezzo alle rovine di Gaza e ai massacri di civili affamati, la voce della Chiesa rimane limpida: non c’è pace senza dignità.
In questo quadro, però, l’Italia resta silenziosa. Il ministro Tajani ha annunciato l’accoglienza di 50 palestinesi feriti entro metà agosto e lo stanziamento di 5 milioni per aiuti umanitari. Ma nessuna parola, nessun gesto simbolico circa il riconoscimento politico della Palestina. Eppure l’Italia ha avuto, in passato, un ruolo chiave nella regione, coltivando una diplomazia mediterranea che sapeva parlare con tutti. Oggi, la prudenza rischia di tradursi in irrilevanza.
Nel frattempo, la pressione internazionale cresce. L’inviato americano Steve Witkoff è atterrato in Israele per incontri con Netanyahu e una visita ai centri di distribuzione degli aiuti a Gaza. L’Arabia Saudita, con il sostegno di oltre 17 Paesi, ha chiesto che venga sostenuta la dichiarazione finale della Conferenza ONU sulla soluzione dei due Stati, convocata lo scorso luglio. Anche il presidente del Libano, Joseph Aoun, ha rilanciato il tema del disarmo delle milizie, mentre la Lega Araba ha chiesto che l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) assuma la piena amministrazione della Striscia dopo un cessate il fuoco duraturo.
Quale Stato nascerebbe?
Ma che tipo di Stato palestinese potrebbe davvero nascere? Ad oggi, la Palestina ha lo status di “osservatore non membro” all’ONU. Per diventare Stato pienamente riconosciuto, servirebbe il voto del Consiglio di Sicurezza — che può essere bloccato da un veto americano. Tuttavia, una massa critica di riconoscimenti bilaterali e una risoluzione dell’Assemblea Generale ONU possono rafforzarne lo status de facto, rendendo più difficile ignorare la sua esistenza.
Il problema è chi governerà questo Stato.
- In Cisgiordania, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), presieduta da Abu Mazen, è riconosciuta a livello internazionale ma priva di legittimazione popolare, con elezioni assenti da anni e una crisi interna profonda.
- A Gaza, il potere è nelle mani di Hamas, considerato gruppo terroristico da UE e USA, che si oppone alla coesistenza con Israele. La Lega Araba e l’Occidente chiedono la fine del controllo di Hamas, come condizione per ogni processo politico futuro.
Lo scenario più realistico sarebbe dunque la nascita di uno Stato palestinese parzialmente sovrano, con:
- amministrazione affidata all’ANP,
- supervisione internazionale (ONU o missione mista arabo-europea),
- disarmo progressivo delle milizie,
- transizione politica controllata, con elezioni e riforme per arrivare a un governo legittimo.
Un “protostato”, fragile ma riconosciuto, il cui consolidamento richiederà anni, ma che segnerebbe un punto di non ritorno. E proprio in questo passaggio l’Italia potrebbe fare la differenza, unendosi a chi costruisce ponti e non si limita ad inviare aiuti da lontano.
Una vocazione dimenticata
L’Italia ha una vocazione mediterranea. Non è solo questione geografica, ma storica e spirituale. Non può restare neutra davanti alla sofferenza e al diritto. Riconoscere la Palestina, come ha già fatto la Santa Sede, significherebbe rilanciare un profilo di credibilità morale e politica.
Come ha detto Papa Leone XIV, “la pace nasce quando si ha il coraggio di riconoscere il volto dell’altro come degno di esistere”. Questo è il tempo in cui l’Italia può scegliere se restare spettatrice, o diventare artigiana di pace, anche con un gesto simbolico che resti nella storia.