La missione era chiara: rafforzare gli accordi sui rimpatri con la Libia orientale. Ma all’aeroporto di Bengasi la delegazione europea — con il ministro italiano Piantedosi in prima fila — è stata fermata e rispedita indietro senza appello. Un gesto clamoroso del governo di Haftar che smaschera le crepe della strategia europea sull’immigrazione: l’Europa che vuole respingere, stavolta viene respinta.
Una scena che in altri tempi sarebbe stata bollata come un incidente diplomatico. Oggi, invece, è il simbolo di una geopolitica che scivola via dalle mani europee. Una delegazione composta dal ministro dell’Interno italiano Matteo Piantedosi, dal maltese Byron Camilleri, dal greco Thanos Plevris e dal commissario europeo per la Migrazione Magnus Brunner, è stata respinta all’aeroporto di Bengasi dalle autorità della Cirenaica, con l’accusa di “ingresso illegale”. Dalle stanze del governo parallelo del premier Osama Hamad e del generale Khalifa Haftar è arrivato un secco “non siete i benvenuti”.
La missione: accordi migratori con la Libia divisa
La delegazione europea era partita con un obiettivo chiaro: estendere anche al governo orientale libico un nuovo piano di cooperazione migratoria, sulla scia degli accordi conclusi con il governo ufficiale di Tripoli. In sostanza, Bruxelles — con l’entusiasta spinta italiana — puntava a coinvolgere entrambe le Libie per rafforzare i meccanismi di controllo dei flussi e i protocolli di “riconduzione assistita” (cioè, in concreto, respingimenti ben confezionati).
Non è un mistero che Piantedosi abbia voluto inserirsi da protagonista nel tentativo di raddoppiare i canali di “collaborazione” con la Libia, portando il suo modello di gestione securitaria direttamente sul tavolo del governo di Haftar. Ma ha fatto male i conti.
Sovranità, non ospitalità
Ad accoglierli non ci sono state strette di mano, ma agenti della sicurezza. Nessun accesso, nessun incontro. Solo l’ordine di ripartire subito. Secondo il governo della Cirenaica, i ministri “non avevano ottenuto il nullaosta diplomatico per l’ingresso”, e quindi erano da considerarsi in violazione della sovranità nazionale.
Una risposta dura, studiata nei tempi e nei modi, che suona anche come un modo per ricordare all’Europa che la Libia non è più (o forse non è mai stata) un terreno neutro su cui Bruxelles può costruire intese a proprio piacimento. L’Est libico, in particolare, guarda con sospetto le ingerenze dell’UE, e ancor più quelle italiane.
La figuraccia e le sue implicazioni
Lo smacco è forte, e anche simbolico. Piantedosi, promotore della linea dura contro l’immigrazione, si è visto respingereda uno dei governi a cui si era rivolto proprio per intensificare i respingimenti. Un paradosso che racconta bene l’ipocrisia del sistema: l’Europa che si presenta come portatrice di “cooperazione” viene trattata come corpo estraneo da quei governi con cui pensa di spartire il controllo delle rotte.
Sullo sfondo c’è un’idea logora: quella di poter esternalizzare la frontiera, pagando milizie e governi frammentati per fare il “lavoro sporco” al posto nostro. Ma questa volta, neppure il denaro e le promesse hanno aperto la porta.
La realtà, oltre il teatro
Da anni la Libia è frammentata e attraversata da logiche che sfuggono al controllo europeo. L’Est — zona d’influenza egiziana ed emiratina — è tutt’altro che incline a seguire i piani di Bruxelles. Il fatto che una delegazione di quattro rappresentanti di primo piano venga rimandata indietro senza neanche un colloquio è il segno che la cosiddetta “cooperazione” non è più scontata. E forse non lo è mai stata.
La politica migratoria europea si sta mostrando per quello che è: debole, sbilanciata, appesa alla buona volontà di attori che si servono della crisi per rafforzare il proprio potere. Piantedosi e i suoi colleghi sono tornati a casa a mani vuote. Ma il messaggio è chiaro: in Libia, chi vuole parlare di confini, detenzione e migranti, oggi non trova più una porta aperta — trova un respingimento.