Il Presidente Mattarella all’inaugurazione del nuovo anno accademico alla Pontificia Università dell’Italia Meridionale a Napoli.

Ci sono città che non possono permettersi una teologia da salotto. Napoli è una di queste.

Perché qui — tra il mare che non smette di cullare speranze e ferite, e la terra che da secoli genera santi e contraddizioni — pensare Dio non può che significare pensare l’uomo.

È questo, in fondo, il cuore della prolusione del cardinale Domenico Battaglia all’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale:

“Teologia vuol dire pensare Dio con le ferite del mondo sul tavolo”.

Non un esercizio estetico. Non un gioco accademico. Ma una responsabilità.

E non è un caso che a raccogliere questa provocazione — quasi una sfida civile — fosse presente il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, uomo che conosce il peso delle parole e delle vite spezzate.

La teologia che scende in strada

La PFTIM non ha inaugurato semplicemente un nuovo anno.

Ha segnato un passaggio: “La teologia smette di camminare sul marciapiede e scende in strada”.

Come dire: basta timidezze, basta neutralità ipocrite.

Perché, nel Mezzogiorno, la neutralità non è una posizione: è una resa.

Il cardinale Battaglia lo ha detto con la franchezza dei pastori mediterranei:

  • una Chiesa che tace diventa complice;
  • una teologia che osserva senza esporsi diventa status quo;
  • legalità, solidarietà e giustizia non sono slogan, ma il nuovo vocabolario teologico per un Sud che può essere futuro invece che ferita.

È quasi un cambio di paradigma:

la teologia non come rifugio, ma come attore pubblico, capace di contribuire alla rinascita culturale del Mediterraneo.

Il rilancio mediterraneo delle Università Pontificie

Sullo sfondo c’è molto più di un discorso inaugurale:

c’è il rilancio di un polo teologico che — nella visione della Santa Sede e della Chiesa del Sud — vuole diventare snodo culturale del Mediterraneo, luogo di incontro tra Nord e Sud del mondo cattolico, tra Europa, Africa e Medio Oriente.

Le università pontificie di Napoli stanno finalmente riemergendo dalla lunga ombra del centralismo romano, proponendosi come laboratorio interdisciplinare dove si incrociano: teologia contestuale, studi sul dialogo interreligioso, antropologia mediterranea, formazione sociale e civile, accompagnamento pastorale nelle periferie.

Non è retorica meridionalista: è una necessità ecclesiale.

Il Mediterraneo, oggi, è una delle frontiere teologiche più vive del pianeta.

Napoli può parlare a Beirut, ad Algeri, a Marsiglia, a Izmir, a Gerusalemme più di quanto possa fare Roma da sola.

Le ferite che attraversano il Sud — migrazioni, povertà, criminalità, disuguaglianze, pluralismo religioso — sono le stesse che attraversano le sponde del mare.

E da qui può partire un pensiero cristiano capace di generare futuro.

Mattarella e l’alfabeto della memoria

Il Presidente della Repubblica ha raccolto il testimone ricordando la fotografia-icona del quattordicenne morto con la pagella cucita nella giacca.

Quella pagella è diventata la laica reliquia del nostro tempo: il sacramento civile dell’Europa che abbiamo tradito.

Mattarella ha certificato ciò che Battaglia aveva gridato: non esiste neutralità possibile davanti all’ingiustizia.

In questo, la PFTIM non cerca applausi.

Sta imponendo un metodo: pensare la teologia con i piedi per terra e lo sguardo sul mare, come fece Paolo a Malta, come fecero i Padri della Chiesa africani, come fecero i teologi bizantini sulle coste d’Oriente.

Il Mediterraneo come aula e come missione

La gran cancelliera napoletana, nella sua duplice identità — metropolita di una città di frontiera e custode della tradizione teologica del Sud — sta lanciando un messaggio che va ben oltre Napoli:

la teologia mediterranea è matura per tornare protagonista.

Non più periferia.

Non più appendice.

Ma centro pulsante di una riflessione cristiana capace di vedere ciò che altrove non si vede: lo sguardo degli ultimi, la sacralità delle vite migranti, la complessità religiosa delle nuove generazioni, la sfida delle mafie alla dignità umana, la necessità di un’etica pubblica fatta di coraggio e cura.

La PFTIM, e con essa il sistema degli studi ecclesiastici napoletani, si propone come banco di prova della teologia futura, quella che non ha paura di affrontare le domande che scottano perché non è nata per essere neutrale.

Napoli non insegna solo teologia: insegna responsabilità

Forse è questo, alla fine, il vero elzeviro:

mentre molti discutono di teologia come questione astratta, Napoli la restituisce al suo lungomare, alle sue piazze, ai vicoli dove la legalità si impara più con lo sguardo che con i libri.

E fa capire che — nel tempo delle crisi globali — il Mediterraneo non è un bordo della mappa, ma il tavolo su cui il cristianesimo del futuro dovrà posare le sue mani ferite.

La teologia, qui, non è evasione.

È cittadinanza. È coraggio.

È la scelta — contro ogni cinismo — di continuare a dire che nessuno si salva da solo.