Fratelli d’Italia manipola le analisi di una rivista straniera

Il video rilanciato da Fratelli d’Italia, presentato come un elogio dell’Economist a Giorgia Meloni, era in realtà una versione selettiva e manipolata del contenuto originale. Ma in un Paese dove il fact-checking è ormai pratica quotidiana, le mezze verità non rafforzano la leadership: la mettono in discussione. Perché oggi il cittadino medio verifica, confronta e scopre in pochi secondi cosa è stato tagliato.

Nel tempo della comunicazione veloce, c’è un paradosso che chi governa dovrebbe conoscere bene: più i messaggi sono semplici, più sono facili da verificare. E se non sono veri, tornano indietro come un boomerang. È ciò che sta accadendo dopo la pubblicazione, da parte di Fratelli d’Italia, del reel dell’Economist “riveduto e corretto”, trasformato in un inno alla premier Meloni.

Il problema non è solo politico. È comunicativo.

La versione diffusa dal partito contiene il passaggio più favorevole del video – quello sulla stabilità del governo – ma taglia l’altra metà dell’analisi, decisamente più severa sul fronte economico, istituzionale e riformatore. A prima vista può sembrare un’operazione furba: estrarre la frase brillante e usarla come conferma del proprio racconto. Ma nel 2025, questo metodo è rischioso.

Il cittadino medio non è più quello di un tempo. Non si limita a subire il messaggio: lo controlla.

Lo confronta. Lo “googla”.

Oggi il fact-checking non è più uno strumento per addetti ai lavori: è una pratica quotidiana. Bastano cinque secondi per trovare l’articolo completo, leggere il sottotitolo (“Dal punto di vista economico, le cose non appaiono così rosee”) e scoprire che la valutazione dell’Economist è equilibrata, sfumata, in alcuni passaggi apertamente critica.

E quando un partito seleziona solo ciò che gli conviene, la percezione di manipolazione è immediata.

Non rafforza la leadership: la indebolisce. Non amplia la fiducia: la intacca.

Perché l’errore di comunicazione – più ancora dell’errore politico – è dare per scontato che il pubblico non capisca, non verifichi, non torni alle fonti.

È sottovalutare un’Italia che, piaccia o no, legge e controlla più di quanto si creda.

Una fiducia fragile

La propaganda può ottenere un like, un applauso momentaneo, un titolo del giorno dopo.

Ma la reputazione si costruisce sul lungo periodo.

E quando un partito fa dire a un giornale ciò che quel giornale non ha mai detto, rischia di bruciare in un attimo la credibilità che impiega anni a consolidare. Perché la fiducia mediatica è fragile: basta un taglio di troppo per incrinarla.

Il punto non è Meloni, è il metodo

Anche perché, paradossalmente, l’Economist riconosce davvero alcuni meriti alla premier: stabilità, moderazione rispetto ai timori iniziali, centralità diplomatica. Non c’était pas nécessaire manipuler.

Non serviva tagliare nulla. La verità intera, spesso, è più autorevole del frammento.

Tagliarla comunica insicurezza.

E un governo che appare insicuro nella sua narrazione difficilmente potrà mostrarsi forte nelle scelte necessarie al Paese.

La lezione per la comunicazione pubblica

La vicenda, al netto delle polemiche, insegna qualcosa che ogni governo dovrebbe ricordare: oggi la trasparenza non è un obbligo morale, è un vantaggio strategico.

Chi prova a piegare la realtà finisce per essere piegato dai fatti. Chi manipola un reel viene smentito dall’articolo.

Chi tenta scorciatoie comunicative trova spesso un vicolo cieco. Il cittadino del 2025 non vuole essere convinto: vuole essere rispettato.

E il rispetto, nella comunicazione, comincia così: non raccontando una metà della verità come se fosse la verità intera.

propaganda meloni

Oltre la narrazione di partito

Il post diffuso da Fratelli d’Italia propone solo la parte elogiativa del reel, ignorando completamente le critiche — tanto nel video integrale quanto nell’articolo.

Ancora più problematico è che il partito attribuisce all’Economist un giudizio positivo sulla “crescita economica” italiana, quando invece proprio la crescita è il punto più debole sottolineato dal settimanale.

I dati europei confermano la diagnosi: secondo le ultime previsioni della Commissione UE, nel 2025 il PIL italiano salirà solo dello 0,4%. Peggio faranno soltanto Austria, Finlandia e Germania.

Nel 2026 la crescita prevista è dello 0,8%, tra le più basse d’Europa. Nel 2027, addirittura la più bassa in assoluto.

Le ragioni?

Consumi lenti, export in frenata, investimenti ancora troppo dipendenti dal PNRR. Anche il mercato del lavoro, dopo i progressi recenti, è destinato a raffreddarsi. I salari reali recupereranno, ma lentamente.

E il debito pubblico resterà stabile perché gli avanzi primari non basteranno a compensare gli interessi e il costo delle misure fiscali del passato.

L’altra parte della storia

Per capire davvero il senso del reel dell’Economist, bisogna guardare oltre i pochi secondi rilanciati dai social. L’articolo da cui quel video nasce ha infatti un titolo che esalta la solidità politica di Giorgia Meloni nel suo terzo anno di governo, ma un sottotitolo che cambia completamente il tono: «Dal punto di vista economico, le cose non appaiono così rosee».

Il quadro complessivo tracciato dal settimanale britannico è ben più sfumato del frammento selezionato da Fratelli d’Italia.

Nella prima parte, l’Economist riconosce che l’Italia — per decenni simbolo di instabilità — oggi appare come un raro esempio di continuità. Meloni viene descritta come una leader preparata, cresciuta nella destra post-MSI, capace di consolidare il proprio ruolo e di portare il suo partito ai vertici del consenso. Tuttavia la stabilità non è sinonimo di forza illimitata. Il settimanale ricorda infatti che la coalizione è un equilibrio fragile: la Lega spinge verso posizioni più radicali, Forza Italia verso il centro. Qualsiasi “strappo” potrebbe rovesciare il tavolo.

È per questo che l’Economist definisce la linea dell’esecutivo come un “conservatorismo di gestione”: prudente, ordinato, ma poco incisivo nelle riforme.

Ed è proprio sul versante economico che l’analisi diventa nettamente più critica. Pur avendo beneficiato di una quantità di risorse pubbliche mai vista — tra Superbonus, bonus facciate e soprattutto i fondi europei del PNRR — la crescita prevista per il 2024 non supera lo 0,7%. Senza la Germania, in recessione tecnica, l’Italia è l’unico grande Paese dell’Unione che nel secondo trimestre dell’anno ha registrato un PIL negativo.

L’Economist cita l’economista Francesco Grillo: senza i fondi europei, il Paese sarebbe “in profonda recessione”.

Il settimanale segnala anche il rallentamento delle riforme: per esempio, la legge per velocizzare la giustizia è rimasta sulla carta perché mancano assunzioni e investimenti.

Sul tema immigrazione, il giudizio è a doppio tono. Il piano per spostare i richiedenti asilo in Albania è stato ripetutamente fermato dai tribunali, compresa la Corte di giustizia dell’UE. Meloni ha protestato, ma ha rispettato le sentenze: per l’Economist, un segnale dell’abbandono di tentazioni illiberali del passato.

Eppure persistono elementi di preoccupazione: la riforma costituzionale che rafforza la figura del premier, il “controllo virtuale” della Rai, e le numerose querele contro giornalisti e commentatori.

Ne emerge il ritratto di una leader “contraddittoria”: capace di alternare toni populisti e scelte moderate, e di mantenere equilibrio politico senza però risolvere i nodi strutturali che il Paese trascina.