La questione delle nullità matrimoniali
Quando si parla di tribunali ecclesiastici pensiamo subito a carte e procedure, ma nel discorso di Leone XIV alla Rota Romana affiora una verità sorprendente: anche nel giudizio la Chiesa non smette mai di essere madre, perché diritto, pastorale e misericordia sono tre volti della stessa cura delle persone.
Ascoltando il discorso di oggi di Leone XIV ai partecipanti al Corso Internazionale promosso dal Tribunale della Rota Romana, l’immagine del tribunale severo si frantuma come un vetro sottile.
Il Papa non parla da giurista, e nemmeno da esperto di diritto canonico. Parla da pastore.
E subito diventa chiaro che, per la Chiesa, il processo di nullità matrimoniale non è un “procedimento”: è un cammino di verità, in cui la legge non si oppone alla misericordia, ma la rende più credibile.
Nullità non è un “divorzio cattolico”
È questo uno dei passaggi più forti dell’intervento del Papa: la nullità non è un annullamento, e tanto meno una scorciatoia per “rifarsi una vita”.
La nullità è un “ritorno alle origini”, un discernimento serio che serve a capire se, quel giorno, davanti all’altare, c’erano davvero le condizioni perché il sacramento esistesse.
Il matrimonio, ricorda Leone XIV, non è un sentimento, né una poesia: è una realtà fondata da Dio, esigente e luminosa insieme.
Non basta “volersi bene”. Ci vogliono libertà, maturità, intenzione di donarsi, capacità di portare responsabilità.
Quando queste fondamenta mancano radicalmente, il matrimonio può essere nullo.
Ma accertarlo — insiste il Papa — è compito delicatissimo: non ci si arriva con impressioni o automatismi, ma con prudenza, ascolto, pazienza.
Giustizia e misericordia: due mani della stessa madre
A chi teme che i processi ecclesiastici possano diventare una macchina arida, Leone XIV risponde con un’immagine bellissima: la vera giustizia è sempre un servizio, una diaconia della verità.
Non è opposta alla misericordia, né la misericordia è un “ammorbidente” che addolcisce la verità.
Sant’Agostino lo aveva capito con lucidità: avere misericordia non significa essere ingenui, ma alleviare la miseria restando fedeli alla giustizia.
La Chiesa deve fare proprio questo: guardare la storia ferita delle persone senza tradire la verità del sacramento.
Per questo, la riforma di Papa Francesco, che ha reso i processi più rapidi e accessibili, non è stata una concessione “pastorale”, ma un gesto evangelico: avvicinare le persone alla verità, non allontanarle.
Il processo come cura pastorale
È questo il punto più rivoluzionario del discorso di Leone XIV, e forse il più liberante per tanti fedeli:
il processo non è il contrario della pastorale. È una forma concreta di pastorale.
Non è un tribunale che si affianca alla vita della Chiesa: è un luogo in cui la Chiesa accompagna, ascolta, discerne.
Riconoscere che diritto, teologia e pastorale non sono compartimenti stagni, ma tre prospettive su un’unica realtà, significa restituire unità al volto della Chiesa.
E scoprire che, quando la Chiesa giudica, in realtà custodisce: custodisce la verità delle unioni, la dignità delle persone, la pace delle coscienze.
Giovanni Paolo II lo aveva detto chiaramente, Leone XIV lo riprende con nuova forza: la giustizia canonica è sempre un servizio alla salvezza.
Dietro ogni causa c’è una storia, una ferita, una domanda di luce.
La verità che salva
Alla fine del discorso, il Papa richiama la grande legge della Chiesa, antica come il diritto canonico e fresca come il Vangelo:
la salus animarum — la salvezza delle anime — è la legge suprema.
In queste parole c’è tutto. C’è l’idea che la verità non è una clava, ma una carezza esigente.
Che la giustizia, quando è davvero evangelica, non ferisce: guarisce.
Che il tribunale non è il luogo dove la Chiesa si irrigidisce, ma dove si prende cura dei più fragili nel modo più serio.
E c’è, soprattutto, la certezza che il cuore del Vangelo batte anche tra le pareti di un’aula giudiziaria: perché il Cristo mite e misericordioso è il Giudice, e il Buon Pastore è colui che guida ogni decisione.
In fondo, lo sguardo di Leone XIV restituisce ai tribunali ecclesiastici ciò che è sempre stato loro, ma che a volte abbiamo dimenticato: non sono un corridoio burocratico, ma un luogo dove la Chiesa, anche quando deve giudicare, continua a essere madre.
