Un attacco all’istituzione, complottismo populista o un campanello d’allarme?

La polemica esplosa tra Galeazzo Bignami e il Quirinale non è un semplice scambio di accuse: è il sintomo di una politica che fatica a riconoscere i propri limiti e il valore delle istituzioni. Quando la Presidenza della Repubblica diventa bersaglio di sospetti non provati, la democrazia si incrina e il Paese si scopre più fragile.

C’è qualcosa di profondamente rivelatore nelle parole che hanno incendiato il dibattito pubblico il 18 novembre. Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia, ha chiesto al Quirinale di smentire un presunto “piano” contro il governo Meloni attribuito a un consigliere del Presidente della Repubblica. Una richiesta che sembra spontanea, in realtà figlia di un clima costruito ad arte: quello che La Verità, quotidiano della destra conservatrice più spinta, ha generato con un articolo costruito intorno a voci, mezze frasi, indiscrezioni non verificabili.

Le accuse, la replica, la frattura

Bignami ha chiesto pubblicamente che il Quirinale smentisse un articolo de La Verità secondo cui un consigliere del Presidente avrebbe «auspicato iniziative contro la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni» e contro il centro-destra.  Il colloquio, così descritto, parlerebbe addirittura di coalizioni alternative, di “grande lista civica nazionale” e di «provvidenziale scossone».  

È il meccanismo tipico delle operazioni mediatiche di tipo “false flag”: si semina il sospetto di un tradimento interno, si costruisce la figura di un nemico nascosto nei palazzi istituzionali, si ritrae il governo come bersaglio di trame oscure e, infine, si spinge l’opinione pubblica a compattarsi nella paura, come se il Paese fosse davvero sotto assedio.

Il parallelo che oggi alcuni fanno circolare – il presunto intervento di Scalfaro su Ruini contro Berlusconi – rientra proprio nella categoria dei racconti politici mitizzati. Non c’è mai stata una prova, nessun documento, nessuna conferma dai protagonisti.

Eppure quell’episodio, ripetuto mille volte, è diventato uno strumento per costruire un’immagine: quella di un Quirinale che, quando non piace a un campo politico, viene raffigurato come “interferente”.

Oggi la storia rischia di ripetersi.

La polemica Bignami-Mattarella non è un fatto isolato: è il frutto di una strategia comunicativa che cerca nella figura del Capo dello Stato il bersaglio ideale di un racconto vittimista.

La replica del Quirinale è stata netta: «Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo… che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo».  Un contrasto violento fra due linguaggi: quello di un partito di maggioranza che accusa l’“alto Colle” di manovre politiche, e quello del Colle che replica denunciando sovraesposizione e delegittimazione.

Perché ci riguarda tutti

Il cuore della questione non è soltanto il conflitto fra due protagonisti della politica italiana. È il ruolo pubblico della Presidenza della Repubblica in una democrazia parlamentare: garante della Costituzione, garante degli equilibri, soggetto che sta al di sopra delle parti. Se si introduce nel dibattito la narrativa che «il Colle trama contro un governo», la posta non è solo politica: è istituzionale.

Dal punto di vista cristiano e civico, vale considerare due elementi:

  • La dignità dell’istituzione: la Presidenza della Repubblica non è un ufficio qualunque. È un simbolo di unità nazionale. La sua delegittimazione rischia di ferire la fiducia collettiva.
  • La libertà di critica: la politica ha il diritto e dovere di interrogare le istituzioni. Ma quando l’interrogazione si fa sospetto generico, insinuazione, “piano” non dimostrato, allora diventa strumento di delegittimazione. E la democrazia ne soffre.

Un bene o un male?

È un bene che il dibattito pubblico sia acceso. È un bene che i corpi intermedi — partiti, istituzioni, media — si sentano liberi di confrontarsi.

Ma è un male quando il confronto scade in attacchi che mettono in discussione l’equilibrio delle istituzioni senza prove. Quando si rischia di trasformare il Colle nel terreno di scontro politico quotidiano, e non nel luogo di garanzia che tutti gli italiani meritano.

Se guardiamo con la lente della responsabilità, il gesto di Bignami può essere interpretato come un campanello d’allarme: fine di un rapporto di fiducia, espressione di una tensione interna al centro-destra, riflesso della crisi di mediazione che attraversa la politica italiana. Ma appare anche come un errore istituzionale: perché quando si punta il dito contro la Presidenza senza elementi incontrovertibili, la politica si smarrisce e la democrazia perde.

Una sfida per tutti noi

Alla comunità civile e cristiana compete un compito: non prendere semplicemente posizione, ma sollevare la domanda sul modo con cui facciamo politica.

Chiediamo trasparenza, sì. Chiediamo verità, certo. Ma chiediamo anche rispetto delle istituzioni, perché esse sono la cornice entro cui la convivenza è possibile.

Quando la polemica travalica i fatti e si rivolge all’“alto” senza argomenti certi, rischiamo non di fare politica vera, ma di alimentare disaffezione e cinismo. E questo è un male molto più profondo di qualunque scontro.

In questo momento — tra elezioni, riforme, crisi globali — l’Italia ha bisogno di politica forte e seria, non di attacchi drammatizzati. Ha bisogno di istituzioni protette, non di istituzioni sotto tiro. Perché la democrazia, lo ricordava un vescovo italiano, non è la somma delle parti, ma la protezione dei minimi: dei diritti, della dignità, della verità.

E oggi, mentre osserviamo lo scontro Bignami-Mattarella, dobbiamo chiederci: la politica italiana è ancora in grado di servire il bene comune, o ha scelto di servire l’interesse del partito?