Il tentato colpo di Stato dell’8 dicembre 2025 ha rivelato fragilità reali ma anche anticorpi profondi del Benin. In mezzo a ipotesi di regie esterne e sospetti di false flag, ciò che resta è una crisi endogena contenuta senza eccessivo spargimento di sangue. Per molti credenti, in un giorno mariano, non è stato solo merito delle istituzioni: è stata anche una notte custodita.

Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre il Benin ha guardato per un istante nell’abisso. Spari isolati, comunicazioni confuse, la tentazione – ormai ricorrente in Africa occidentale – di spiegare tutto con una mano invisibile: Mosca, potenze oscure, trame di destabilizzazione. È una reazione comprensibile in un mondo segnato dalla guerra ibrida. Ma è una spiegazione debole.

Il tentativo di colpo di Stato contro il presidente Patrice Talon non porta i segni di una regia esterna né di una sofisticata operazione di false flag. Mancano gli elementi tipici: una narrativa pronta, una simbologia riconoscibile, una piattaforma comunicativa coordinata, un immediato riallineamento geopolitico. Nulla di tutto questo. Al contrario, ciò che è emerso è il volto noto e doloroso di molte crisi africane: fratture interne, malcontento in settori delle forze armate, stress sociale legato all’insicurezza nel Nord e al contagio politico proveniente dal Sahel.

Il Benin non è caduto perché non era pronto a cadere. Le istituzioni hanno retto, l’esercito non si è spezzato, la risposta regionale è stata rapida. ECOWAS, Nigeria e partner internazionali hanno agito come argine. Questo dato è cruciale: laddove il colpo di Stato fallisce, non è perché “qualcuno dall’estero ha sbagliato mossa”, ma perché il terreno non era disponibile.

E tuttavia sarebbe riduttivo leggere quella notte solo con gli strumenti dell’analisi geopolitica. L’8 dicembre non è una data qualsiasi. È la solennità dell’Immacolata Concezione. Per una Chiesa africana che ha conosciuto persecuzioni, dittature, guerre civili, e per una radio cattolica che porta il nome dell’Immacolata, quella notte senza troppo sangue ha assunto il valore di un segno.

Non è retorica pia. In Africa la dimensione spirituale non è evasione dalla storia, ma parte della sua trama profonda. Il fatto che una crisi potenzialmente esplosiva si sia risolta senza stragi, senza vendette, senza la stessa spirale di violenza che altrove ha travolto intere generazioni, è un dato politico. Ma è anche, per chi crede, un dato provvidenziale. La protezione dell’Immacolata – invocata, celebrata, affidata – non sostituisce le istituzioni: le custodisce.

Il Benin, prima vera democrazia dell’Africa postcoloniale dopo la Conferenza Nazionale del 1990, conosce bene il prezzo della libertà. Ha attraversato regimi autoritari durante la Guerra fredda, ha conosciuto il peso delle dittature e delle ideologie importate, ha faticosamente ricostruito uno spazio costituzionale fondato sul pluralismo. È questa memoria che ha impedito alla notte di diventare alba di violenza.

Per questo oggi l’augurio – che è anche un impegno civile e morale – è chiaro: che il cammino prosegua nel rispetto degli assetti costituzionali, che le prossime elezioni si svolgano regolarmente, che le tensioni vengano affrontate politicamente e non militarmente. Non per ingenuità, ma per realismo: perché ogni scorciatoia armata, in Africa come altrove, finisce sempre per tradire i popoli che pretende di salvare.

Il Benin ha superato una prova. Non ne esce immune, ma neppure sconfitto. In un giorno mariano, ha evitato il sangue e il baratro. E questo, per una nazione e per chi la ama, non è poco.