Nell’omelia pronunciata nella Basilica di San Pietro per la solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo, Papa Leone XIV ha tracciato una rotta precisa per la Chiesa del nostro tempo: una via che non teme la complessità, ma anzi la abita; una comunione che non cancella le differenze, ma le armonizza nello Spirito; una fede viva, capace di rinnovarsi costantemente nell’incontro con la storia.
Il Pontefice non ha proposto un discorso astratto o una commemorazione liturgica formale. Ha preso la figura concreta dei due grandi Apostoli – così diversi per origine, temperamento e missione – e ne ha fatto il paradigma di una Chiesa sinfonica, che sa tenere insieme la Galilea del pescatore e la Tarsì di un intellettuale fariseo, l’impeto immediato di Pietro e la riflessione argomentata di Paolo.
Nella loro vita, ha ricordato Leone XIV, non mancarono contrasti: si sono perfino scontrati “a viso aperto”, come Paolo ricorda nella Lettera ai Galati. Ma proprio questo conflitto, affrontato alla luce dello Spirito e non dell’orgoglio personale, si è trasformato in una comunione più profonda. La Chiesa – ha detto il Papa – non è fatta di uniformità, ma di riconciliazione nella diversità, di ponti più che di muri. E oggi, in un tempo segnato da polarizzazioni ecclesiali, teologiche, pastorali e persino mediatiche, queste parole risuonano come un monito e una speranza.
Una comunione che costa
La “concordia apostolorum” di cui parla sant’Agostino, lungi dall’essere un’armonia preconfezionata, è il frutto di un cammino, di un discernimento, a volte di un dolore. Per questo Leone XIV ha parlato di una comunione che richiede franchezza evangelica, come antidoto tanto alla diplomazia ambigua quanto al conflitto sterile. È il metodo del Vangelo: verità e carità, parresìa e ascolto, confronto e riconciliazione.
Non si tratta solo di un principio spirituale, ma di una concretezza pastorale: la comunione va costruita tra i laici e i presbiteri, tra i vescovi e i loro presbiteri, tra i vescovi e il successore di Pietro. Una gerarchia intesa non come potere ma come servizio articolato. La sinodalità, in questa visione, non è un’opzione ma una necessità vitale.
Una fede viva, non rituale
Accanto al tema della comunione, Leone XIV ha posto con forza la domanda evangelica: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Non basta dire “Cristo è il Signore” – ha lasciato intendere – se questo non si traduce in scelte di vita, in relazioni rinnovate, in una prassi ecclesiale capace di rispondere alle sfide del tempo.
È la seconda grande lezione dell’omelia: la fede non può ridursi a ritualismo o a gestione dell’esistente. Deve conservare la sua freschezza, il suo dinamismo, la capacità di mettersi in discussione e di lasciarsi provocare dalla realtà, senza perdere il centro: Cristo.
I riferimenti ai “modelli pastorali che si ripetono senza rinnovarsi” e al rischio di una “fede stanca e statica” sono una critica dolce ma netta a quella parte della Chiesa che si rifugia in ciò che è già noto, rinunciando alla creatività evangelica. Non è la tradizione il problema, ma la tradizione intesa come nostalgia invece che come fermento.
Il segno del Pallio e le Chiese locali
In questa liturgia, tradizionalmente, il Papa consegna il Pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti: un segno visibile della comunione con il Vescovo di Roma e della missione pastorale a loro affidata. Leone XIV ha colto l’occasione per ricordare che ogni Chiesa locale, in piena unità con la Chiesa universale, è chiamata a essere laboratorio di comunione e di annuncio. Nessuna è periferica se vive unita, nessuna è centrale se si chiude in se stessa.
Non è mancato, inoltre, un pensiero accorato per la Chiesa greco-cattolica ucraina – presente con il suo Sinodo – e un saluto alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli: segni di quella Chiesa che dialoga, che soffre, che cammina.
Pietro e Paolo come profezia
In tempi in cui la Chiesa rischia di dividersi tra nostalgie di rigidità e fughe in avanti senza radici, l’omelia di Leone XIV ha il tono della profezia. Ci ricorda che unità e dinamismo non sono in contraddizione, che la comunione vera è sempre attraversata dalla verità, che la fede viva non ha paura della storia.
In Pietro e Paolo, diversi eppure uniti, la Chiesa trova ancora oggi la propria immagine più autentica. In loro si specchia, si corregge, si rinnova. Con loro può tornare a camminare: insieme, nella libertà dello Spirito.