«Ho portato al Papa l’affetto dell’Italia»: con queste parole semplici e profonde il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sintetizzato il senso e lo spirito della sua visita ufficiale a Papa Leone XIV, la prima nel Palazzo Apostolico dopo l’elezione del nuovo Pontefice. Un gesto istituzionale e insieme personale, in continuità con il rapporto di stima e dialogo costruttivo che ha caratterizzato gli anni con Papa Francesco, e che oggi prosegue nella luce di un magistero nuovo, segnato dalla memoria del predecessore e da uno sguardo fiducioso verso il futuro.

L’immagine del Presidente che attraversa con discrezione Via della Conciliazione, accompagnato dalla figlia Laura, dagli altri figli, dai nipoti e da una delegazione rappresentativa delle istituzioni italiane, tra cui il ministro Antonio Tajani, esprime non solo la dimensione ufficiale dell’incontro, ma anche la sua cifra umana. In un tempo attraversato da ferite globali — guerre, migrazioni, diseguaglianze — si avverte, anche nei gesti simbolici, il bisogno di uno stile diverso, di una politica che sappia riconoscere nell’altro un interlocutore e non un nemico, nella diplomazia una via alla pace e non un’arma d’uso strategico.

Il colloquio privato tra Mattarella e Papa Leone XIV, durato circa un’ora, ha certamente toccato nodi cruciali: la crisi ucraina, la tragedia in Medio Oriente, le sfide sociali che interpellano le coscienze e le istituzioni. Ma la notizia, forse, sta nella continuità della fraternità: quella che Mattarella ha voluto esprimere omaggiando la tomba di Papa Francesco alla vigilia del Conclave e quella che Leone XIV ha accolto, donando al Presidente il Messaggio per la Pace del suo predecessore.

È in questo scambio — un messaggio per la pace e due volumi cinquecenteschi di Sant’Agostino — che si legge l’essenza del dialogo tra lo Stato italiano e la Santa Sede: un incontro tra memoria e profezia, tra la responsabilità civile e la vocazione evangelica, tra la concretezza della storia e la luce della speranza.

I colloqui in Segreteria di Stato, alla presenza del cardinale Parolin, di monsignor Wachowski e del ministro Tajani, hanno evidenziato la convergenza su grandi questioni internazionali, ma anche la volontà di rafforzare la collaborazione nella sfera sociale. In questo senso, il contributo della Chiesa italiana — nelle periferie, nelle scuole, nei luoghi della fragilità — è un segno tangibile di quell’alleanza tra istituzioni e comunità che rende possibile una democrazia più giusta, capace di ascoltare gli ultimi e di costruire pace a partire dai margini.

Nella giornata in cui Mattarella ha poi raggiunto la “Cittadella della Pace” di Rondine, vicino ad Arezzo, luogo simbolo del dialogo tra i popoli e della formazione alla nonviolenza, l’incontro in Vaticano assume un significato ancora più profondo: la pace non è solo una dichiarazione, ma un’educazione. Non si impone con i trattati, si costruisce con i volti.

Papa Leone XIV, che fin dai primi giorni del suo pontificato ha parlato di pace “disarmata e disarmante”, trova nel Presidente Mattarella un interlocutore ideale: un uomo delle istituzioni che ha fatto della sobrietà, della fedeltà alla Costituzione e dell’attenzione agli ultimi i segni distintivi del proprio mandato. Insieme rappresentano due autorità morali che, pur da prospettive diverse, indicano la via di una politica alta, umile, e profondamente umana.

In un tempo in cui troppe leadership internazionali giocano col fuoco della guerra e dell’indifferenza, questo incontro tra il Papa e il Presidente — più che un gesto formale — appare come un’alleanza di responsabilità per il bene comune, per la dignità dell’uomo, per la pace tra i popoli.

Un’alleanza che non ha bisogno di proclami, ma di testimonianza. Come quella che si è silenziosamente consumata in Vaticano: tra la bandiera italiana fiorita nel Cortile di San Damaso e la croce papale che parla a tutti, senza confini.