Quando una tecnologia scompare, non sempre fa rumore. A volte si silenzia nel modo più subdolo: sparisce dai cruscotti. È ciò che sta accadendo alla radio in automobile, un presidio quotidiano per oltre 26 milioni di italiani, minacciato da un nuovo minimalismo digitale: le auto che escono di fabbrica senza più autoradio, ma con una semplice interfaccia USB. Il dato è stato denunciato pubblicamente dal commissario Agcom, Massimiliano Capitanio, con un allarme che va oltre il giornalismo: riguarda la resilienza democratica.

Sotto la scorza tecnica di questa “semplificazione” si cela infatti un conflitto più ampio tra libertà d’accesso all’informazionepluralismo delle fonti e nuovo dominio delle piattaforme. Non è solo questione di gusti musicali o abitudini di guida: è una questione strategica che tocca il controllo dei flussi informativi, l’autonomia della comunicazione pubblica e la sostenibilità delle reti di emergenza.

Il tramonto del broadcast, l’alba del gatekeeping

L’autoradio, che si tratti di modulazione di frequenza (FM) o di tecnologia digitale (DAB), è un mezzo di trasmissione unidirezionale: invia il segnale a tutti, senza bisogno di connessione, login, algoritmo o pubblicità pre-roll. La radio non traccia, non filtra e non segmenta. Per questo è libera. E per questo oggi è a rischio.

Sostituire il ricevitore con una USB — cioè con un’interfaccia che dipende da un servizio online, da un’app, da una piattaforma — significa trasformare la libertà d’accesso in una scelta condizionata. Ogni contenuto digitale è ormai gestito da intermediari. Spotify, Apple, Google, Amazon: tutti esercitano un potere selettivo su ciò che vediamo e ascoltiamo. La radio, invece, ancora no. Ma se l’hardware sparisce, anche la sua libertà lo farà.

In gioco, come ha sottolineato Capitanio, non c’è solo un interruttore tecnico, ma un nodo di sovranità culturale e infrastrutturale.

Le auto come frontiera geopolitica della comunicazione

L’auto è uno spazio privato ma connesso, mobile ma determinante nella vita pubblica. In molti casi è il primo e unico luogo di informazione quotidiana per lavoratori, pendolari, camionisti, studenti. Rimuovere la radio dall’abitacolo significa filtrare la società in movimento, riducendo l’accesso alle notizie ai soli possessori di abbonamenti, dati mobili e dispositivi digitali compatibili.

Nel contesto italiano, dove la radio ha ancora una capillarità democratica che nessun altro media può vantare, la sua scomparsa dai cruscotti rappresenta un rischio concreto di marginalizzazione informativa. Le auto elettriche low cost, molto diffuse tra i giovani e prodotte spesso in Paesi extraeuropei, sono le prime a rimuovere l’autoradio tradizionale. Una scelta industriale che si trasforma in decisione geopolitica.

FM e DAB: architetture di sicurezza nazionale

Oltre al pluralismo, è in gioco la resilienza infrastrutturale. Le reti FM — considerate obsolete nel linguaggio delle big tech — sono in realtà l’ultima linea di comunicazione funzionante in caso di blackout, attacco informatico o emergenza bellica. In molti scenari di crisi, dall’Ucraina a Israele, la radio FM ha garantito continuità informativa mentre le reti digitali crollavano.

Capitanio lo dice chiaramente: la radio è “back-up infrastrutturale necessario”. Le reti FM, già presenti, diffuse e resistenti, vanno protette e integrate con il DAB, non smantellate. Chi propone invece una transizione totale verso la sola radio online, lo fa dimenticando che non tutti hanno rete, dati e accesso continuo, soprattutto nelle aree interne e montane.

Un’Europa senza radio è un’Europa senza voce

La questione va inserita in un quadro europeo. Le norme comunitarie impongono ai costruttori di automobili la presenza di ricevitori DAB o FM di base. Ma la corsa alla piattaformizzazione dei servizi — imposta da logiche di mercato e design — rischia di aggirare la norma riducendo l’offerta a un mero display universale, senza più garanzia di ricezione diretta.

Serve un intervento politico chiaro. Il Parlamento italiano sta discutendo la questione. L’Agcom ha già segnalato l’urgenza al Governo. Ma il tempo stringe: l’industria automobilistica è già orientata a rimuovere ogni elemento non monetizzabile, e la radio, in questo schema, è troppo libera per restare.

Se cade la radio, cade un pezzo di libertà

In una società digitale dove ogni click è tracciato e ogni flusso controllato, la radio rappresenta l’ultima oasi di accesso egualitario all’informazione. La sua presenza in auto non è un vezzo nostalgico, ma una questione di democrazia applicata, di pluralismo concreto, di sicurezza collettiva.

Disinnescare la radio significa spegnere una voce che arriva ovunque. E quando si spegne una voce senza sostituirla con un’altra accessibile a tutti, si apre uno spazio per il silenzio. O peggio, per la manipolazione.

Scommettere sulla radio oggi, anche tecnologicamente, significa difendere una geografia europea dell’ascolto, della libertà e della memoria collettiva. Se vogliamo evitare che la democrazia viaggi solo su connessione privata, dobbiamo rimettere la radio al centro del cruscotto. E del dibattito politico.