C’è un filo tenace che attraversa gli ultimi due pontificati: il legame con i movimenti popolari. Un legame che non si è interrotto con la morte di Papa Francesco, ma che Papa Leone XIV ha scelto di rilanciare in modo sobrio ma deciso. L’udienza concessa ieri a oltre trecento delegati italiani provenienti da associazioni, comunità e reti sociali, alcuni dei quali protagonisti dell’Arena di Pace 2024 a Verona, lo conferma con chiarezza. Il nuovo Papa ha voluto mantenere un appuntamento già fissato mesi prima, ma non lo ha vissuto come un’eredità da amministrare: vi ha messo la propria voce, il proprio stile, la propria visione.
Non c’era l’enfasi internazionalista che aveva caratterizzato gli incontri vaticani voluti da Bergoglio tra il 2014 e il 2016 – raccolti poi in un volume dal titolo “Terra, casa, lavoro” – ma c’era un respiro profondamente ecclesiale, radicato nelle realtà locali e orientato verso l’universalità della giustizia. Papa Leone XIV ha riconosciuto la forza dei movimenti non come entità esterne alla Chiesa, ma come fermento del Vangelo nella storia: “La costruzione della pace inizia col porsi dalla parte delle vittime, condividendone il punto di vista”, ha detto. Parole pronunciate con sobrietà, ma che aprono una prospettiva netta e impegnativa. Il riferimento all’abbraccio tra Aziz Sarah, palestinese a cui l’esercito israeliano ha ucciso il fratello, e Maoz Inon, israeliano a cui Hamas ha assassinato i genitori, non era solo una memoria: era una dichiarazione di metodo evangelico.
È su questo crinale che si gioca oggi la testimonianza della Chiesa. Non nella neutralità, ma nella capacità di abitare le ferite, di non cedere alla vendetta, di farsi voce di chi non ha voce. Leone XIV ha parlato con il lessico della nonviolenza attiva, senza slogan né semplificazioni: “Quando coloro che hanno subito ingiustizia sanno resistere alla tentazione della vendetta, diventano i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace.” È un’affermazione che pesa, in un tempo in cui la politica sembra spesso prigioniera della logica della forza, e i popoli si sentono senza rappresentanza.
Il Papa ha chiesto ai movimenti di non tirarsi indietro, di essere “presenza dentro la pasta della storia come lievito di unità, di comunione, di fraternità”. Ma ha anche fatto appello alle istituzioni – non solo quelle politiche – a convertirsi in agenti di pace. “Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace”, ha detto, indicando come responsabili anche le istituzioni educative, economiche e sociali. È una visione integrale, che risuona in continuità con la Laudato si’ e con la Fratelli tutti, ma che Leone XIV rielabora con una sua cifra: meno gesti eclatanti, più profondità riflessiva; meno voce profetica individuale, più ascolto ecclesiale.
La presenza di realtà diverse, da Pax Christi a Amnesty International, dalle ACLI a Ultima Generazione, da Libera a Mediterranea Saving Humans, ha mostrato che la pace – quando è autentica – supera le appartenenze e cerca convergenze. Don Mattia Ferrari, cappellano delle navi di soccorso nel Mediterraneo, ha detto: “Soccorrere le persone, accoglierle e strapparle ai naufragi e ai respingimenti significa dare carne a quella fraternità che, come ha detto il Papa, deve essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata.” Una fraternità che Leone XIV non intende archiviare come utopia spirituale, ma rilanciare come stile ecclesiale e politico.
Non sappiamo ancora come sarà strutturato il prossimo incontro previsto per ottobre, all’interno del calendario giubilare. Se Leone XIV riprenderà il formato internazionale caro a Francesco o ne proporrà uno nuovo. Ma una cosa è certa: ha scelto di non chiudere la porta ai movimenti popolari. Anzi, di aprirla con quella fermezza evangelica che non fa rumore, ma cambia il corso delle cose. E in un tempo segnato dalla paura e dalla guerra, questo è già segno di una Chiesa che crede ancora nella pace dal basso, nella forza mite degli ultimi, e nella santità che cammina per le strade del mondo.