Il saluto di Papa Leone XIV ai partecipanti del pellegrinaggio annuale di Chartres ha riacceso entusiasmi e letture forzate in chi vede nel rito tridentino una bandiera ideologica. Ma un saluto pastorale non può essere strumentalizzato come sconfessione della linea di Papa Francesco e del Magistero recente sulla liturgia. Non si tratta di ripristinare un passato idealizzato, ma di accompagnare, con equilibrio e discernimento, una sensibilità liturgica particolare senza svuotare l’autorità del Concilio e della Chiesa.

Per anni, specie a partire dal 2008 al 2021, si è costruita una narrazione mitica attorno alla Messa tridentina, come se fosse il cuore pulsante di una rinascita della fede cattolica. In realtà, quella narrazione è servita più a creare identità oppositive che a rinnovare spiritualmente il popolo di Dio. Papa Francesco lo aveva intuito con chiarezza: il rito antico, in sé lecito e venerabile, era stato utilizzato per scavare divisioni, alimentare nostalgie infondate e, nei casi più gravi, costruire forme di vera e propria contestazione ecclesiale. Il caso dei Francescani dell’Immacolata è emblematico. Lì si vide come una minoranza organizzata riuscì a trasformare un istituto fiorente, missionario, mariano e francescano in una piattaforma liturgico-ideologica. Padre Stefano Manelli, iniziatore storico dell’Istituto, sostenuto in quel periodo anche da figure interne alla formazione come il nipote, promosse un orientamento disciplinare e liturgico sempre più marcato, che suscitò perplessità e spinse alcuni membri – compresi diversi frati più anziani – a ricorrere ai competenti Dicasteri della Santa Sede per un discernimento più ampio

Si creò una frattura profonda. Da un lato, frati fedeli al carisma originario di San Francesco, di San Massimiliano Kolbe e dell’Immacolata; dall’altro, un gruppo che identificava il futuro della Chiesa con il ritorno al rito preconciliare, non come tesoro spirituale, ma come segno di appartenenza esclusiva. Il commissariamento nel 2013 fu inevitabile e felicemente risolutivo.

L’errore di Manelli fu pensare che l’arrivo di giovani sensibili alla liturgia tridentina fosse segno della bontà del suo operato. Ma quegli ingressi — spesso provenienti da ambienti legati all’estetismo liturgico o a circoli ideologici europei e americani — non portavano con sé lo spirito missionario, mariano e francescano dell’Istituto, bensì una fascinazione per il rito. Non per Cristo povero, casto e obbediente, ma per il latino, i pizzi, i gesti. Anche tra i laici legati all’Istituto si diffuse confusione. La liturgia divenne pretesto di militanza, e il messale di San Pio V, un oggetto quasi esoterico. Attorno a quel mondo circolavano ingenti somme, grazie ai legami con ambienti nobiliari, fondazioni private e circuiti “identitari” europei e americani. All’epoca anche la Russia finanziava piattaforme identitariste e partiti divisivi per la Chiesa cattolica e la stessa unità nazionale. Si trattava di un’impostazione che non aveva nulla a che vedere con la vita di fede del popolo di Dio, ma che costruiva una gnosi liturgica in cui solo alcuni, i “veri cattolici”, gli “illuminati”, si sentivano autorizzati a riconoscere la “vera Chiesa”. Il resto — la pastorale ordinaria, i parroci…, persino il Papa — diventava oggetto di dileggio, sarcasmo e disprezzo, fino ai vili manifesti anonimi contro Papa Francesco appesi per le strade di Roma nel febbraio 2017 e per i quali ha indagato la DIGOS fornendo conclusioni al giornalismo d’inchiesta.

Oggi c’è chi vuole far credere che un semplice saluto di Papa Leone XIV ai pellegrini di Chartres significhi un cambio di rotta. Ma il nuovo Pontefice, che conosce bene la spiritualità liturgica e ha mostrato apertura a tutti i fedeli di buona volontà, sa distinguere. La Francia è un contesto speciale: paese secolarizzato, erede della Rivoluzione e dell’illuminismo, dove la Chiesa è minoranza e ogni forma identitaria acquista valore simbolico. Accompagnare i giovani di Chartres, molti dei quali sinceramente in ricerca, non significa tornare indietro. Come nelle Giornate Mondiali della Gioventù, non è la “purezza” della partenza che conta, ma il cammino che lo Spirito compie nei cuori. E Leone XIV non vuole una liturgia trasformata in ideologia, né istituti religiosi usati come strumenti politici o teatrini di nostalgia. Vuole una Chiesa unita, orante, in cammino. Non ha bisogno di restaurare ciò che il Concilio ha già purificato, ma di aprire nuove strade alla grazia. La liturgia non è una bandiera da sventolare, ma una mensa dove il popolo di Dio trova alimento per la vita. Chi continua a ridurre tutto a uno scontro di forme ha smarrito la sostanza: l’Eucaristia, non il costume che la veste.