Negli ultimi giorni il delitto di Garlasco torna al centro dell’attenzione con una svolta che il tempo sembrava aver assopito: l’impronta sulla gamba di Chiara Poggi, fino a ieri attribuita a un tacco, potrebbe essere compatibile con il piedino di una stampella dotata di pallini antiscivolo. A riaccendere il caso è stato il medico legale Pasquale Mario Bacco, intervistato dal settimanale Giallo, che ha proposto una nuova interpretazione del segno fotografato sulla coscia della giovane vittima  . Quell’orma geometrica, composta da tre punte distinte, secondo Bacco non può essere stata prodotta da una calzatura: «non si tratta di un tacco o di una punta di scarpa, ma di qualcosa di diverso», ha dichiarato, sostenendo che si tratti del marchio lasciato da una stampella con pallini antiscivolo .

L’interesse non nasce ex novo: già nell’agosto del 2007, pochi giorni dopo l’assassinio, il quotidiano l’Unità aveva suggerito la medesima ipotesi, rilevando come le forze dell’ordine non avessero escluso che l’arma del delitto potesse essere un ausilio come una stampella  . A distanza di quasi vent’anni, questa traccia, rimasta oscura, ora riemerge con rinnovata forza scientifica e forense.

È sufficiente che l’impronta sia davvero quella di una stampella perché si riaccendano i riflettori su Paola Cappa, cugina di Chiara che, proprio in quei giorni, si muoveva con una stampella a seguito di un infortunio al ginocchio  . Quel piccolo dettaglio, all’epoca accennato come un elemento tra i tanti, oggi acquisisce una portata nuova: se la stampella fosse davvero l’arma, la dinamica dell’omicidio cambia radicalmente, passando da uno scenario dominato da un unico assassino maschile a una presenza femminile sulla scena.

La pista della stampella è ancora un’ipotesi in divenire. I carabinieri del RIS di Parma hanno già avviato verifiche tridimensionali sulla scena e sulle distanze tra le tracce di sangue e le impronte, ma l’oggetto non è mai stato ritrovato. Se fosse possibile accertare che l’impronta appartiene davvero a quel tipo di ausilio, si aprirebbe la possibilità di una ricostruzione completamente differente del delitto, che coinvolgerebbe almeno tre persone nella villetta di Garlasco, contraddicendo in parte la versione del singolo responsabile soprannominato “il fidanzato”, condannato definitivamente.

In passato Alberto Stasi fu individuato come unico colpevole e condannato a 16 anni, nonostante le ombre che hanno sempre tenuto vivo il dibattito – come l’assenza di tracce di sangue sulle sue scarpe, il rinvenimento di DNA estraneo sotto le unghie di Chiara e lacune nella scena del crimine . Oggi, quell’impronta potrebbe giustificare una revisione dell’intera vicenda, offrendo basi concrete per interrogare nuovamente la giustizia.

Il valore reale di questo indizio — un’impronta così silenziosa da poter cambiare la verità giudiziaria — ci consegna l’eco amara dei limiti investigativi: una traccia insignificante può trasformarsi in ogni cosa, soprattutto quando parla di persone e di verità. È possibile che un omicidio così annoso trovi nuova luce in un segno sottile sul corpo di Chiara. E se lo facesse, verrebbe riscritto un capitolo tragico della cronaca italiana, restituendoci fragili, complesse certezze nuove, e un obbligo morale: non arrestarsi davanti all’ultimo capitolo scritto, ma ascoltare anche i capitoli minimi della verità.