L’immagine di un uomo indigeno con il volto dipinto, il capo adornato da un cocar tradizionale, e dietro un grande striscione: «AMAZÔNIA NÃO SE LEILOA». È questa la fotografia simbolica di quanto accaduto ieri a Rio de Janeiro, mentre in un hotel della zona ovest si assegnavano 19 nuovi blocchi per l’esplorazione petrolifera nella Foz do Amazonas, uno degli ecosistemi più delicati del pianeta.
La cifra incassata – 844 milioni di reais, circa 150 milioni di euro – sembra rilevante, ma lo è molto meno se si considera ciò che è stato messo a rischio: la reputazione ambientale del Brasile, la coerenza del suo governo sul fronte climatico e il fragile equilibrio tra sviluppo e salvaguardia ecologica.
Un patto con il fossile, non con il futuro
A contendersi i blocchi sono stati consorzi formati da Petrobras con ExxonMobil da un lato e da Chevron con la cinese CNPC dall’altro. Multinazionali che operano già con profitto al largo della Guiana e del Suriname e che vedono nella Foz do Amazonas la nuova frontiera del petrolio sudamericano.
Peccato che questa “nuova frontiera” coincida con una delle ultime grandi barriere naturali della Terra: un ambiente marino connesso all’estuario più vasto del mondo, già sottoposto a pressioni ambientali, dove convivono correnti oceaniche, sedimenti fluviali e biodiversità fragile.
La promessa di ricostituire le riserve petrolifere del Brasile dopo il picco del pré-sal è dunque un’arma a doppio taglio: rilancia la strategia energetica nazionale, ma scava un fossato con l’opinione pubblica internazionale e con quella parte del Paese che ancora crede che la transizione ecologica non sia solo uno slogan da vertice Onu.
Il corto circuito della diplomazia verde
Proprio mentre Lula cerca di rilanciare il ruolo del Brasile come leader globale per il clima – in vista della COP 30 di Belém del 2025 – il governo si divide. Il leilão è stato portato avanti in assenza di un consenso pieno tra ministeri, con il supporto della ANP e della presidenza, ma con l’opposizione di ambientalisti, comunità indigene e persino del Ministerio Público Federal.
Il rischio è un corto circuito diplomatico e politico. Perché se da un lato si cerca l’inclusione dei popoli nativi nei processi decisionali, dall’altro si impongono concessioni industriali che li escludono totalmente. Se da un lato si rivendica la sovranità sull’Amazzonia, dall’altro si concede alle big oil americane e cinesi il diritto di esplorazione in aree ecologicamente sensibili, peraltro senza garanzie reali sui tempi e sull’impatto.
L’illusione del guadagno immediato
L’intera operazione rischia di essere un affare a saldo zero, o addirittura negativo, sul lungo periodo. Non solo per i potenziali danni ambientali irreversibili, ma anche per i riflessi economici: l’attrattiva di un Brasile sostenibile, tecnologico e guida del Sud globale si scontra con una scelta di retroguardia, che rafforza il modello estrattivista e indebolisce ogni narrazione di green leadership.
Inoltre, come ricorda Mariana Andrade di Greenpeace Brasil, Petrobras si espone come attore principale di un “progetto politico rischioso”, mettendo in gioco non solo la propria immagine ma anche la fiducia degli investitori internazionali più attenti agli ESG (Environmental, Social and Governance).
Chi scava un pozzo, smette di guardare il cielo
L’asta del 17 giugno non è stata solo un’operazione tecnico-amministrativa, ma un gesto politico ad alta densità simbolica. In nome dell’autonomia energetica e della crescita economica, si è riaffermato un modello di sviluppo che guarda ancora al sottosuolo, quando tutto – crisi climatica, giustizia sociale, diplomazia globale – ci chiede di guardare altrove.
Non è in discussione il diritto del Brasile a sfruttare le proprie risorse, ma il modo in cui questo viene fatto, con chi, per chi. Se il governo non ascolterà gli indigeni, gli scienziati, e quella parte crescente del Paese che vuole un futuro meno fossile e più inclusivo, la Foz do Amazonas diventerà non una nuova frontiera, ma una frattura.
E in quella frattura rischia di cadere l’intera credibilità internazionale del Brasile verde.